Traina Low Cost
di Carlo Coni
Abitare in una città di mare come Cagliari è il sogno di ogni pescatore. E non solo. Avere poi a disposizione un kayak è forse uno dei modi migliori per viverla appieno, addirittura intimo. Si ha infatti la possibilità di scovare gli angoli di mare e costa più nascosti e di regalarsi scorci altrimenti impossibili da ammirare. Un clima mite durante quasi tutto l’arco dell’anno ci permette di godere, seduti sul pelo dell’acqua, di un mare cristallino, dello spettacolo delle maestose rocce calcaree del promontorio della Sella del Diavolo, delle evoluzioni che compiono le colonie di gabbiani e del verde intenso della macchia mediterranea. Insomma, sia per chi vuol fare una breve passeggiata o un sano allenamento, sia per chi vuole cimentarsi con pesca a bolentino o a traina, ma anche per chi semplicemente vuole ammirare ciò che la natura offre, il kayak è un’ottima soluzione.
La ricerca del pesce-esca
Siamo ad ottobre e le temperature sono ancora piacevolissime, il mare è finalmente tornato alla sua normalità, la pace dopo la frenesia estiva. Questo è un ottimo periodo per la pesca a traina. Ed è proprio dell’ultima uscita a traina del 10 ottobre che sto per raccontarvi. La leggenda vuole che tutte le storie di pesca debbano iniziare con dolorose levatacce prima dell’alba, ma nel nostro caso non serve. L’appuntamento è comodo comodo, per le 9 alla prima fermata del Poetto, dove incontro Claudio, esperto compagno di pesca, abilissimo soprattutto con la bolognese. In riva al mare inizia il rito della sistemazione dell’attrezzatura a bordo dei nostri mezzi nautici. Abbiamo due kayak marini in vetroresina di 4,30 metri e lo spazio nel pozzetto è piuttosto ridotto. Io prendo il coppo, la sacca stagna e il bidoncino con l’attrezzatura. Claudio il raffio, l’ancora e le canne. Sugli elastici posizionati sulla coperta del kayak fissiamo tutte le cose da tenere sempre a portata di mano, come le forbici, il Gps e l’immancabile macchina fotografica. L’operazione richiede tempo, ma è fondamentale assicurarsi l’immediata disponibilità di tutto quanto e soprattutto che il pozzetto rimanga confortevole, dal momento che ci dovremo passare dentro diverse ore. Tutto è pronto e finalmente siamo in acqua. Il meteo è buono con un vento di Maestrale che a tratti soffia oltre i 10 nodi. La prima fase di pesca servirà per procurarci un pescetto da usare come esca. Claudio prova con un raglou in silicone di 5 centimetri ottimo con le occhiate, mentre io uso le matassine per aguglie che ormai abbiamo imparato a costruirci da soli con filo di cotone rosso o bianco. La speranza è che per un po’ mia madre non abbia la necessità di fare qualche rammendo proprio con quei colori! Utilizziamo un terminale dello 0,20 montato su una lenzina a mano con 30 metri dello 0,30, diametro perfetto da stringere tra i denti perché, mentre si pagaia, le mani sono ovviamente impegnate. Dopo un primo infruttuoso passaggio lungo la spiaggia, decidiamo di dirigerci verso il promontorio della Sella del Diavolo. La velocità è di 2,5 nodi circa e finalmente, dopo quasi 3 miglia percorse e un’ora di voga, catturiamo nella baia di Cala Mosca quella che sarà la prima e unica aguglia della giornata. Dalla trazione che sento sulla mia guancia capisco che non è grossa e infatti è sui 30 centimetri. Preferisco quelle più grandi, più resistenti all’innesco e più selettive coi predatori, soprattutto in un periodo come questo che vede una forte presenza di piccolissime ricciole. Il becco dell’aguglia, munito di numerosissimi e affilati dentini, è rimasto intrappolato sui tanti microfili della matassina e il fatto di non utilizzare alcun amo permette di mantenere perfettamente vitale il pesce-esca.
Traina sotto costa
Abbandono quindi la lenza a mano per passare alla canna da traina. Una canna da 12 libbre di tipo stand-up con un mulinello 6.0 che avrà poco meno di 30 anni. Un vero pezzo d’antiquariato. Scelgo una paratura con ami proporzionati alla dimensione contenuta della mia esca: 2 ami del 2/0 montati su un terminale dello 0,60. Il primo dei 2 ami, detto “trainante”, è scorrevole così da poter essere avvicinato o allontanato dall’amo finale in base alla lunghezza del pesce che useremo per esca. L’amo va posizionato alla base del rostro (becco) dell’aguglia bucandolo dal basso verso l’alto mentre il secondo, detto “ferrante”, all’altezza del foro anale. Quando ho a disposizione aguglie più grosse aggiungo un terzo amo a metà tra l’amo trainante e quello ferrante. Finalmente posso filare la mia lenza e inizio una traina lenta in direzione Ovest verso lo scoglio di Sant’Elia. La zona è frequentatissima da subacquei con palloncino e a volte senza. Questo ci impone di rispettare rotte larghissime. Torniamo quindi verso la spiaggia del Poetto, a tratti passando a pochi metri dalle rocce e a volte allontanandoci sino a 300 metri. Puntiamo sull’idrovora dell’ospedale Marino nella speranza di incocciare qualche ricciola. Ormai è mezzogiorno e abbiamo percorso 8 miglia. Dirigiamo le nostre prue verso Marina Piccola per coprire l’ultimo miglio e mezzo della nostra giornata di pesca. Siamo un po’ delusi in quanto non abbiamo provato il brivido del seppur minimo accenno di mangiata. Claudio, che intanto ha restituito la libertà a un paio di occhiate in quanto è troppo tardi ormai per provvedere a un nuovo innesco, inizia ad accusare formicolio alle gambe per il prolungato stazionamento all’interno del kayak. Mi manda qualche maledizione per le miglia che gli ho fatto macinare e io lo tranquillizzo con un cenno della testa per indicargli la breve distanza che ci separa dal traguardo finale, Marina Piccola. In effetti entrambi incominciamo a sentire un po’ di fastidio al fondo schiena per via della lunga seduta, ma proprio questo, forse, è il segno che la fortuna sta per sorriderci. Ci manteniamo a circa 300 metri dalla battigia anche perché la spiaggia è ancora piuttosto frequentata. Tengo la canna tra le gambe col “cimino” rivolto verso poppa. Questo mi permette di avvertire tramite il nylon che poggia sulla mia coscia ogni minimo sussulto dell’aguglia innescata. Ed ecco che arriva; due colpetti leggeri mi fanno pensare a qualche tracina che spesso e volentieri aggredisce pesci molto più grandi di lei. Tuttavia non mi fermo, proseguo, solo riducendo leggermente la velocità. Il tempo di dire a Claudio: “qualcuno ha bussato!” che la frizione parte decisa e 50 metri di lenza filano a mare in un attimo! Capiamo subito che non si tratta di un pesce piccolo. Inizia un combattimento che durerà mezz’ora anche perché, una volta avvicinato il pesce, ci accorgiamo che è allamato nella parte iniziale della pancia, proprio sotto le branchie, aumentando il pericolo di sgancio. Aiutato dal vento, il pesce ci fa scarrocciare verso fuori poi, decide di tornare verso terra ed infine verso nord. Claudio affianca da subito la sua canoa alla mia per stabilizzarmi, aiutarmi a indossare la cintura da combattimento, fare foto e, alla fine, riesce persino a raffiare il pesce con precisione chirurgica. Si tratta di una bella leccia di 5 chili e mezzo. Un po’ stanchi ma soddisfattissimi non sentiamo più nessun tipo di dolore. Torniamo verso riva felci per aver passato in compagnia una mattinata sull’acqua, muovendoci solo grazie alla forza delle braccia in un contesto di grande bellezza e pace. Insomma abbiamo fatto un po’ di palestra all’aria aperta, accompagnati solo da piacevole sciacquio vorticoso delle nostre pagaie sull’acqua. Per oggi benzina non ne abbiamo dovuto né comprare né consumare e la soddisfazione è tale che per un bel po’di benzina, per uscire a pesca, non ne avremo bisogno! Questa è quella tecnica che abbiamo battezzato Traina Low Cost!
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