Il tonno è forse la preda più ambita dagli sportivi di tutte le tecniche: averci a che fare è il sogno di ogni piccolo pescatore e io ero uno di questi…
Si praticano tecniche sempre più sofisticate per catturare i tonni; si usano mulinelli e canne perfettamente equilibrati; si sta seduti o in stand-up; e la traina può essere pesante e poco altro. I tonni sono pesci che mangiano anche mentre si praticano altre tecniche, ma 9 volte su 10 vengono persi, oppure vinti dopo un combattimento estenuante che si protrae per diverse ore. Perché faccio questa premessa? Perché l’impossibile, per quanto mi riguarda, è una sfida pazzesca che cerco sempre di rendere possibile. Pescare questi pesci, soprattutto nel caso del tonno rosso, con una tecnica come lo slow jigging, è un’impresa, sì impegnativa, che richiede costanza e dedizione, ma è alla portata di chiunque. Dirò di più, diffidate di chi vi dice il contrario. Dopo qualche anno e tanti pesci, persi e presi, ho acquisito un bagaglio tale di esperienza per cui posso uscire a “tunnidi” praticando la tecnica dello slow jigging.
Negli ultimi 5 anni, pescando sia in verticale che a traina, ho constatato che le mangiate sono sempre più frequenti e spalmate durante tutti i 12 mesi. In estate e autunno, per via delle temperature, i tonni si trovano con più frequenza su batimetriche modeste ma nei primi strati della colonna d’acqua. In altri invece, primavera e inverno, è più facile incontrarli su fondali importanti e schiacciati sul fondo. Tutto ciò, tradotto in termini volgari, significa che i tonni sono ormai una presenza costante nelle nostre coste, sino essi rossi o tonni alletterati. È naturale, vista la mia malattia, che provassi a intercettarli, anche se alla fine pochissimi sono stati i combattimenti portati a termine. Ricordo ancora, ospite di un gruppo di amici nella zona di Porto Corallo, il primo tonno pescato: era un rosso intorno ai 30 kg di peso. Sono state 3 ore e 30 minuti di combattimento, terminati in extra time, oltre il tramonto; poi i dolori e la Tachipirina per diversi giorni. È evidente che nonostante il successo si poteva fare meglio. Impiegare più di 3 ore per un pesce da 30 kg significa sbagliare la tecnica; probabilmente mettere a rischio le attrezzature e vista la stanchezza e l’acido lattico, anche l’incolumità fisica personale e magari del resto dell’equipaggio.
Per fortuna non c’è voluto molto a capire che canna, mulinello e tutto il resto, andava rivisto e calibrato per questi eventi. Così, sentito Federico di Borderline, gli espongo la necessità di avere una canna da slow con la parabolicità adeguata a gestire quel genere di jig, ma con tanta riserva di potenza per dare del filo da torcere ai pescioni, senza il timore di spappolarla in mille pezzi. È vero che con certi animali la piega della canna da slow non deve essere esasperata, ma quando il tonno fa “i giri della morte”, la canna va sollevata e abbassata, e se per sbaglio il pesce dovesse fare delle fughe laterali o sotto barca, la canna deve resistere. Ecco perché nasce la PTR Forza 4. Questa supporta anche un mulo potente, basta che rispetti tutti i criteri dello slow jigging, quindi leggerezza, capienza, velocità di recupero (6:1), ottima frizione e manovella lunga con manopola a T. Per affrontare in scioltezza e con la dovuta sicurezza i pesci più impegnativi possiamo abbinare il Valiant SPJ 500N, oppure l’Everol SJ8, quest’ultimo meno leggero ma imbattibile in quanto a potenza. Già in altre occasioni abbiamo discusso della treccia e di quanto sia importante il suo utilizzo in questa tecnica, con i migliori fili che si trovano in commercio, naturalmente. L’obiettivo è quello di vincere i bestioni da 30-40 o 50 chili con prodotti PE 2 o 3, ma non una sola volta, più e più volte con lo stesso filo. È caldamente sconsigliato superare quel limite, sia per non rallentare l’azione di pesca, sia per non perdere la capacità di tagliare l’acqua e la corrente. Ma, allo stesso modo (facciano attenzione i più gasati e temerari), può essere controproducente preferire PE inferiori, scelta che forse potrebbe soddisfare una volta, ma non una di più. Considerando le minime dimensioni del mulinello è buona norma riempire “a tappo” la bobina. 400 o 500 metri, se non 600 di trecciato, danno la giusta serenità, soprattutto operando su fondali impegnativi (150-180 m).
Finale - Fluorocarbon o nylon? …A slow il nylon? Sì, cari ragazzi, se la pesca è votata unicamente al tonno, il nylon non solo è giustificato ma è anche consigliato, almeno nei libraggi da 40 a 60. È però fondamentale che si tratti di un tipo particolarmente resistente allo sfregamento. La differenza col fluorocarbon è che i nylon è più elastico e tanto diminuisce le possibilità di rottura durante il tira e molla finale. Naturalmente il nodo di giunzione deve essere eseguito a regola d’arte, col bobbin knotter, e soprattutto rifatto dopo ogni combattimento. Per quanto riguarda split e solid ring, è meglio non andare per il sottile, e preferire quelli introno alle 100 libbre. Stesso discorso per gli ami, leggeri ma robusti, come i jigging light Bkk o Sptg Yamay Suteki, nelle misure 3/0, 4/0, 5/0 e 7/0. Infine l’assist cord, rigorosamente da 170 fino a 220 libbre. E il jig? Il jig è quello più adeguato al momento ma le colorazioni glow con cromature di grigio o colorazioni arancio e natural, risultano particolarmente gradite.
In azione - Nello slow jigging al tonno l’azione di pesca non deve focalizzarsi nelle aree del fondo o in quelle adiacenti, ma in tutta la colonna d’acqua. Il comportamento della specie non risponde, infatti, a un rigido standard. Ad esempio a volte mangia in caduta, altre mentre l’esca è in risalita. Spesso l’approccio del rosso può essere confuso con quello dell’alletterato e in entrambi i casi potrebbe sembrare, di primo acchito, che l’animale sia più piccolo del reale. In realtà, l’alletterato tende a fare una fuga veloce verso la superficie con brevi ripartenze laterali e verso il fondo. Risale più volte, almeno due o tre, molto rapidamente, tanto da impegnarci non poco nel recupero. Poi arriva il momento che si stabilizza a pelo d’acqua e comincia a fare meno resistenza. Però è proprio l’ultima fase a essere pericolosa perché se il pesce conserva ancora un po’ di energia, è facile che si produca in repentine fughe su più direzioni col rischio di sfregare la lenza sotto la barca e…
Il tonno rosso non appena s’inizia a forzarlo, parte come un razzo e dà il via al momento più complicato di quel gioco che non è mai alla pari perché il tonno è sempre il favorito. I cardini del successo dipendono dalla preparazione e dalla freddezza delle due figure essenziali: quella che manovra la canna e quella che manovra l’imbarcazione. Ad esempio, nella fase iniziale, bisogna seguire il pesce cercando di non farlo arrivare sulle cadute del fondo più importanti e per questo è necessario che ci sia feeling tra i due operatori. Chi sta alla guida non deve mai perdere di vista la direzione del filo e accelerare o togliere gas e nel caso virare, così che l’angler possa lavorare sulla murata sempre col filo davanti e leggermente inclinato verso l’esterno. Dal canto suo quest’ultimo, deve dare il minimo spazio al tonno e cedere filo solo quando è necessario. Praticamente deve governare il tira e molla con recuperi più o meno veloci e cedere lenza il meno possibile, cercando di approfittare dei momenti deboli del tonno. Poi l’animale arriva sotto bordo, o al livello del termoclino. Proprio in questo caso, dobbiamo virare con l’imbarcazione a poco poco, metro dopo metro, per girargli la testa ripetutamente, dato che non possiamo farlo con la schiena della canna che, ricordiamoci, non è una canna da drifting. A un certo punto, dopo i bagliori sfumati, il tonno si riconosce anche per grandezza, mentre iniziano i “giri della morte”. Il pesce è certamente stanco, ma allo stesso modo anche il pescatore. Siamo alla fine. È giunto il momento più delicato. Accompagniamo le ultime brevi fughe del pesce e richiamiamo il filo, ogni volta con qualche metro di guadagno. E in finale facciamo scorrere velocemente il nodo negli anelli finché non è al sicuro avvolto in più spire nella bobina. E finalmente arriva il momento del raffio o di un grosso boga grip e una pinza, per slamare il pesce così da farlo ossigenare prima di rilasciarlo ai suoi abissi.
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