To be or not to be!
To be or not to be! Così recita il personaggio di Shakespeare. Ma in fondo “the question”, il dilemma amletico, variamente interpretato ma riferito di certo alla vita e alla morte non va inteso in senso stretto, non sempre, non in questo spazio. Con molta meno profondità, l’essere o non essere risulta una questione di tutti i giorni, di vita quotidiana, di scelte e lotte fatte e non fatte. In fondo ognuno di noi è l’espressione di se stesso. Così, a livello superiore, dicasi dei popoli, dei governi, delle comunità. L’Essere più immediato è l’esistenza stessa che però poco valore assume se il resto del mondo non la conosce o peggio ancora non la riconosce. L’identità, oggi come ai tempi del drammaturgo inglese è un bene, un valore che si costruisce e che passa inevitabilmente attraverso la comunicazione, con qualunque mezzo, pena l’oblio, la morte. I versi del XVII secolo, suonano quindi come allegoria dei tempi moderni dove non è lo stato fisico che si mette in gioco ma quello più interiore e personale, dal futuro incerto come il successo, visto l’esasperato bisogno di essere. In seconda battuta il fine vita è pari a un obiettivo non raggiunto, vuoi per incapacità, per impossibilità, ma anche per negligenza o superficialità. Comunque di morte si tratta. E siccome di questi tempi è più facile scaricare le responsabilità anziché riconoscerle e assumerle, attenzione alle posizioni che ne derivano. In mare i pesci piccoli sopravvivono perché fanno comunione, operano per lo stesso obiettivo. Noi pescatori, anziché fare sistema e sviluppare un’identità coesa, inneschiamo un’altra guerra. Quale sarà il risultato? Io quando sento odore di armi penso alla morte, non alla vita. Essere o non essere?
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