Stefano Claut

Non solo posato e gentile, ma anche un campione inossidabile incollato alla prima categoria e con tanta voglia di dare battaglia alle cernie.

Ho conosciuto Stefano ai Campionati del mondo di pesca in apnea a Arbatax, nel 2021, e l’ho fotografato al rientro della seconda manche, in compagnia di un carniere da paura e quel fenomeno di Giacomo Mola a cui il Claut faceva da barcaiolo e che alla fine ha conquistato il titolo iridato. Ho rincontrato Stefano a Portoscuso, nella veste di garista, agli ultimi assoluti, e non a caso era primo nella giornata iniziale, con un carniere da paura. Stefano è considerato uno dei Grandi della specialità, anche se sul podio sardo ha dovuto accontentarsi della piazza d’onore alla destra di Fabio Dessì, per l‘occasione incontenibile.

Un’intervista è stato il passo successivo, motivata anche da un fare “maturo e gentile”, più composto della media dei colleghi. Iniziamo così...  Quarantasette anni, triestino, sposato e papà di una fanciulla, anche lei attratta dal mondo in apnea. Non ha un background subacqueo famigliare e l’acqua dell’ultimo golfo d’Italia, per lui non è stata proprio invitante. Così, praticamente da adulto, si lascia andare verso gli abissi nei mesi estivi che trascorreva con babbo e mamma al mare, in campeggio, nelle croate Istria e Dalmazia. Con la fiocina inizia a disturbare i primi pesci e da autodidatta si appassiona sempre più, tanto che a vent’anni s’iscrive allo storico circolo Ghisleri di Trieste e inizia a praticare timidamente l’agonismo, a pinne, fondamentalmente a gronghi, cefali e spigole.

Traguardo o punto di partenza? Beh, diciamo tutti e due, perché comprai il gommone, quindi fu una partenza verso nuove mete e nuovi obiettivi. Allo stesso tempo partii con la seconda categoria, e nel 2010, a giugno, mi classificai per il campionato di prima che si disputò solo qualche mese dopo, a Bosa: arrivai ottavo. Hai iniziato a girare il mondo? Beh, a Trieste c’è molto fango e l’acqua è fondamentalmente torbida. Per questo mi spostai nel lato orientale non più italiano, dell’Adriatico, verso meridione, leggi Istria e Dalmazia. Ma l’anno più importante è stato il 2012, quando il Trofeo internazionale Città di Rovigno, era in auge. Paolo Cappucciati, allora capitano della squadra nazionale, mi convocò come titolare insieme a Smeraldi e Settimi. Arrivammo primi, nonostante un freddo cane con l’acqua a 6 gradi, come solo a febbraio, ma con tanto, tantissimo pesce. Mi ricordo 10 saraghi, 10 orate, tre dentici di 2,5, 5 e 7 kg. E ancora un mostellone e altro, in tutto 25 o 26 pesci. In quella gara c’erano 60 squadre. Arrivammo primi anche l’anno successivo. E fu così anche due anni dopo, con Mastromauro al posto di Smeraldi: gran bel triennio, in un ambiente sempre scenografico, anche per l’organizzazione, e abbordabile economicamente. 

Grossa cernia pescata in Croazia.

Possiamo dire che sei un veterano? Non so, di certo sono 14 anni che gravito in prima categoria, a parte qualche piccola scivolata in seconda immediatamente recuperata e il 2020, chiuso per covid. Ho avuto la fortuna di fare esperienze in tutti i mari, molte anche nella tua Sardegna. A Bosa, ad esempio, ho esordito in prima categoria nel 2010. Per diletto invece sono stato spesso a Porto Pozzo, a Porto Corallo. Non dimentichiamo che Bruno era mio amico e che ha contribuito tantissimo alla mia crescita. Un’altra persona che stimo nel nostro ambiente è De Mola col quale nel 2017 abbiamo vinto come team Italia, insieme a Ascione, la gara a squadre “Dive in” a Zara, in Croazia, con un carniere strepitoso. Ma, se vogliamo, ho nuotato in acque extra continentali come in Australia, in Sudafrica, e in Perù.

Un aneddoto? A Exmouth, un piccolissimo centro nella costa occidentale a 1300 chilometri a nord di Perth. Circa una ventina di anni fa. Mi accompagnava Barry Paxman, un esperto subacqueo che mi consigliò di non avere paura degli squali ma di imparare a gestirli. L’acqua era sporca con una forte corrente. Era pieno di spanish mackerel ma bisognava fulminarli, altrimenti avrebbero attirato gli squali. Io comunque non ero tranquillo, figurati quando è comparso uno squalo tigre di 4 metri. Ancora con Barry organizzammo un’uscita a Perth. Un posto quasi familiare, visto che era frequentato da ricciole, identiche alle nostre. Però il “bianco” era di casa, anche se abbiamo avuto la fortuna di non incontrarlo.

Invece in Sudafrica? Lì ci sono stato per una gara a Hole in the wall, tra Durban e Port Elizabeth, nella costa sudorientale dell’Africa. Si poteva pescare solo un pezzo per specie. Arrivai terzo.

Mai avuto paura? Mai, o forse sì, paura di perdere un bel pesce. In Croazia, 15 anni fa più o meno. Mentre “aspettavo” vidi queste ricciole sopra di me a distanza di tre metri che si mantenevano basse per via un taglio freddo. Sparai verso l’alto e colpii la più grossa. Ma questa di finire non ne aveva intenzione così mi portò a spasso fino alla batimetrica dei -60. Fortunatamente invertì la rotta e s’incanalò nella risalita, ma allo stesso tempo misi a fuoco l’asta che era storta e con una sola aletta in sicurezza. Il rischio di perderla era altissimo. Poi il mio compagno mi avvicinò un fucile, m’immersi di nuovo e la doppiai. Pesò 32 chili.

Mai niente di sconveniente? Potrei scrivere un libro. Ad esempio, nel 2007 mi sono cappottato col gommone. Ero col mio compagno di pesca, a bordo, per pulire il pesce. Quasi a riva. Sentì uno strano sciabordio, mi girai e contemporaneamente un’onda anomala mi ribaltò. Eravamo su un fondo di 12 metri, quindi con un po’ di fortuna recuperammo pinne e maschera e ancorammo il gommone. I carabinieri ci trainarono in porto e Nautica Pinna fece il resto. Ma la sfiga non finì lì. La sera dovevo partire per Civitavecchia per il Campionato di seconda. Noleggiai un gommone e mi si ruppe il motore. L’unica alternativa era quest’altro gommone di un diving con un 250 hp.  Alla fine mi qualificai.

Il gommone al contrario.

Un commento su Portoscuso? Bella esperienza. Purtroppo la preparazione è stata breve per via del brutto tempo. Avevo molte corvine ma non ho trovato capponi o altri jolly. E le mustele segnate in preparazione non sono riuscito a visitarle per mancanza di tempo. Inoltre i saraghi segnati non si sono presentati. 

Qual è la tua tecnica preferita? Prima ero un convinto tanista, un razzolatore, poi ho virato all’aspetto per dentici. Oggi mi affascina la pesca profonda e in particolare la cernia o comunque i pesci grossi. Le quote operative sono intorno ai -40, ma ho preso pesci anche a -45 metri.