Spigole e Foci Chiuse
È stato osservando una foto che ho capito perché la pesca in foce abbia tutto questo fascino su di me (ma sono convinto su tanti spinner). La foto è dell’amico e compagno di mille pescate Stefano Moroni. Quasi sempre è lui il protagonista dei miei scatti, ma questa volta l’immagine mostrava me in azione. Uno scatto “di maniera”, un’alba con colori carichi, “fluo”. Ma la foto descrive come solo un’immagine può, cosa sia lo spinning in foce. La mia siluette non è centrale, rimane sul lato sinistro, quasi a fare da spettatore; le protagoniste sono le due acque: quella del mare, calma e placida, quella del fiume che sfocia turbolenta. Tra il fiume e il mare, tra il dolce e il salato, quel giorno nuotavano tante spigole. Ogni volta che vado a pesca in foce quella foto mi accompagna nella mente. Ma con l’avvicinarsi della stagione calda, come ogni anno, arriva il tempo della chiusura. Gli sbocchi dei fiumi sono sempre più aridi e tra poco tempo la maggior parte degli estuari saranno chiusi. “Mebbisi”, così è solito apostrofarmi Stefano (per la verità ingegner M. o dottor M.), “lo sai che la prossima volta ci frega, vero? Ingegnere, lo sai che se andiamo di nuovo e la foce è chiusa si torna col cappotto?”. Lo sappiamo, è inutile farsi delle illusioni. Così come l’abbiamo praticata per tutto l’inverno, la pesca alla spigola adesso è terminata. O meglio, non è finita ma in questi ambienti non può essere la stessa che nei mesi freddi. Con un po’ di criterio, comunque si può continuare a fare dell’ottimo spinning anche nei mesi futuri.
La fiera non è finita
Intanto partiamo da una convinzione che forse deve essere in parte messa in dubbio. La foce è chiusa… forse. Soprattutto in primavera, con tempo instabile e piogge anche più che sporadiche, non siamo in grado di stabilire se la foce di un corso d’acqua sia chiusa davvero. Mi spiego meglio: a prima vista un corso d’acqua interrotto da una duna di sabbia ci sembrerà bloccato, con l’acqua in superficie ferma e stagnante e la sabbia a fare da sbarramento invalicabile. Ma cosa succeda sotto i nostri piedi non è dato saperlo. Spesso l’acqua dolce continua a scorrere, sotterranea, arrivando al mare e producendo correnti caratterizzate da una temperatura diversa da quella dell’acqua salata tutta intorno. Da solo, questo fatto spinge i predatori a frequentare quel tratto di costa, preferendolo ai settori limitrofi. Ecco quindi un primo particolare da tenere a mente. Ma più in generale, ciò che conta è trovare punti dove il mare formi delle anse e l’acqua produca mulinelli e correnti particolari. La corrente! Cerca la corrente! Come un mantra, in questi mesi ci siamo ripetuti ad ogni lancio che dovevamo trovare le “vie” frequentate dalle spigole, strade invisibili disegnate dalle correnti, a volte in uscita e a volte in entrata rispetto al flusso del corso d’acqua. Certo, quando un fiume sfocia in mare queste linee sono abbastanza decifrabili. In assenza di segnali visivi e non disponendo della linea laterale dei pesci, dobbiamo affidarci alle vibrazioni che l’artificiale trasmette alla punta della canna e da qui, attraverso il manico, alla nostra mano. Quindi, spazio ai modelli che nuotano “da soli” che cioè vibrano e scodinzolano durante il semplice recupero, quei modelli che cercano e catturano la corrente; per lo più esche dure, non troppo grandi, diciamo intorno ai 9 o 10 centimetri, con un peso non superiore a 12 grammi e munite di paletta. Non dimentichiamo le gomme con la coda molto pronunciata o con tutto il profilo ruvido e frastagliato. Saranno loro, le esche, a suggerire se vale ancora la pena continuare a lanciare in quel tratto di mare.
“Uno, due, massimo dieci lanci. Non succede nulla? Spostiamoci e, al limite, torniamo in quel punto dopo aver sondato altri spot interessanti”.
La regola del 10
Una costante che ci ha accompagnato in tutta la “stagione” è stata la maggior probabilità di catture durante i cambi di luce. Decine di uscite, registrate quasi in modo maniacale da Stefano e da me e poi i racconti e le esperienze condivise con tanti appassionati, hanno di fatto sancito quanto siano determinanti alba e tramonto in questo tipo di pesca. Partiamo quindi da questa sicurezza anche se l’allungarsi delle giornate relega sempre più presto (all’alba) e più tardi (al tramonto) le finestre utili. Vale comunque la “regola del 10”, una legge empirica e quindi provata solo dall’esperienza sul campo. Agli scettici il compito di confutarla. La regola è valida in tutto lo spinning ma ancor più in questa precisa variante e recita grossomodo cosi: “Fai 10 lanci, se non succede nulla spostati, vai via, al limite ritorna dopo che è trascorso un ampio lasso di tempo”. Quindi, una volta scelto il punto da cui lanciare non bisogna soffermarsi mai per un tempo superiore a quello necessario per effettuare una decina lanci. Se non ci bastano questi lanci per vedere un attacco, una tocca, meglio cambiare area, meglio cambiare spot. Sembra un po’ lapidaria, tronca in partenza le aspettative che in molti riversiamo su un determinato spot. Ma l’esperienza mostra (forse usare il termine dimostra è un po’ troppo) che la regola è legge, a volte dura da seguire, spietata ma sostanzialmente vera. Dieci quindi e non più. Pochi, per gente abituata a girare con decine di artificiali nella cassetta. Ma abbiamo già fatto una prima scrematura delle esche a priori. Una volta sul campo partiamo con l’artificiale che ci sembra più idonea. Se abbiamo trovato un po’ di schiuma e corrente il richiamo sulle spigole non sarà visivo. Il predatore verrà a noi richiamato dalle vibrazioni. In generale le esche che producono più vibrazioni sono quelle con piccole palette, rilievi, tutto ciò che produca attrito. Concentriamoci sul nuoto dell’esca. Seguiamo con la punta della canna lo spostamento in corrente. Bisogna che il contatto sia costante, mantenendo la canna bassa e il filo con un angolo quasi retto rispetto al fusto. Se la corrente sposta l’artificiale e quindi il filo da questa direzione, ruoteremo il nostro tronco per mantenere l’angolo iniziale tra canna e filo. Un semplice accorgimento per rendere più evidenti le deboli vibrazioni sollecitate dall’esca. Se possibile, usiamo waders o lunghi scarponi in gomma perché in questo tipo di pesca il piede non è mai asciutto e non di rado abbiamo bisogno di sondare tratti di mare che sono impossibili da raggiungere lanciando da riva. “Mebbisi, andiamo a fare due lanci?”. Ma si Stefano, perché no? C’è sempre quella spigola, quella grande, quella che l’ultima volta ha toccato l’esca e poi si è dileguata. È ancora in mare, ma soprattutto nuota ancora nella mia testa.
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