Sparidi tra le Onde
Il sarago è una preda tra le più ambite nel surf casting e le ragioni sono molte e presto dette. La sua cattura si associa, quasi sempre, a condizioni del mare mosso o molto mosso. Pescare tra le onde e con il vento in faccia non è facile, di certo non è riposante, ma ogni cattura, anche se di dimensioni modeste, è motivo di grande soddisfazione; figuriamoci se riusciamo a portare a terra un grosso sarago… In più, questo pesce mostra una grande combattività che si manifesta con le classiche “testate” durante la fase di recupero e fughe continue quando la preda raggiunge il gradino di risacca. Questo sparide nuota in branco, caratteristica che permette catture multiple. Ancora, il sarago ha un aspetto maestoso, brillante, aggressivo e appena riusciamo a portarlo a riva ci riempie gli occhi con la sua bellezza. Per ultimo, ha delle carni sode e compatte, dal gusto deciso e quindi apprezzate in cucina. Insomma, la sua cattura è sempre una gioia, motivo di grande soddisfazione. Iniziamo col dire che… si fa presto a dire sarago! Nei nostri mari nuotano diverse specie di questo sparide, ma quelli che si pescano dalle spiagge della Sardegna sono sostanzialmente i saraghi maggiori (Diplodus sargus), mentre l’incontro col pizzuto (Charax puntazzo) è oramai sempre più raro e fortuito. Fasciati, sparlotte e compagnia cantante, in generale raggiungono dimensioni molto più modeste rispetto al chilo e oltre del sarago maggiore. Nel surf casting la pesca al sarago è considerata stagionale, per lo più primaverile, quando ancora la temperatura dell’acqua è bassa, rispetto ai valori che saranno raggiunti tra giugno e ottobre. Vediamo di puntualizzare condizioni meteo, spot, attrezzatura e esche, necessari per la pesca al sarago; lo ripetiamo, una delle varianti del surf più apprezzate e stimolanti.
Meteo e spot
Ma cosa possiamo sapere noi riguardo alle preferenze meteorologiche degli sparidi? Nulla o quasi, almeno se vogliamo essere seri e rigorosi. Ci limiteremo a descrivere l’esperienza sul campo, le tantissime nottate trascorse in spiaggia, nella ricerca del confronto, della sfida non sempre raccolta dai pesci. In questo caso il valore della pressione atmosferica non dovrebbe influire in modo così rilevante. La bassa pressione non è quindi una condizione imprescindibile, un dato che “sembrerebbe” oramai conclamato quando si parla di spigola. Guai invece se mancano le onde! Il sarago si avvicina a riva solo per mangiare, visto che sceglie la tana nel fitto della posidonia o tra le spaccature di grosse pietre. Quando le onde smuovono il fondo, portando allo scoperto piccoli vermi e molluschi, si hanno le condizioni migliori, perché è allora che il maggiore decide di nutrirsi. Quindi gli spot più adatti sono spiagge non troppo estese, limitate da promontori rocciosi o con ampie foreste di posidonia, distanti dalla riva un centinaio di metri o poco più. La notte è il periodo migliore per questa pesca, ma anche di giorno, se la mareggiata è consistente, si hanno buoni risultati.
Strategia e attrezzi
Il mare molto mosso e il vento in faccia consigliano un’azione dinamica. Più che adottare una strategia basata sul numero, meglio affidarsi alla precisione. Mi spiego: non di rado si vedono in spiaggia lunghe file di canne che “coprono” un tratto di mare che si estende per centinaia di metri. In questo modo, ci si sta affidando alla legge dei grandi numeri, sperando che almeno una canna sia nel posto giusto al momento giusto. Ma questa strategia costringe a continui e lunghi spostamenti, cosa che nella stragrande maggioranza dei casi non avviene neppure. E così le esche rimangono in mare un tempo molto più lungo del limite utile, aggrovigliandosi e diventando inutili. Poche, pochissime catture sporadiche sono frutto del caso e dopo una manciata di ore il pescatore è devastato dalla stanchezza, col morale a pezzi. Meglio adottare una condotta mirata. Poche canne, ma piazzate nei punti che riteniamo più idonei. Per fare la “pescata della vita” bastano 3 canne: una lanciata sul gradino di risacca, una lontano, se siamo in grado di raggiungere il’ultimo frangente e la terza da usare come jolly, spostandola se notiamo la comparsa di un canale interessante o di una punta lontana dalla nostra postazione. La canna assume, aggiungerei “finalmente”, un ruolo determinante. Tutti gli studi teorici, le innovazioni riguardo i materiali e le tecniche costruttive, qui e adesso prendono forma. La necessità di lanciare le zavorre più pesanti del circuito e alla distanza maggiore possibile, non lasciano dubbi: abbiamo bisogno di qualità, di una canna in grado di piegarsi senza rompersi alla resistenza prodotta da una zavorra sempre sui 200 grammi; abbiamo bisogno di una reazione di punta, in grado di reggere l’azione del mare senza “spiombarsi”, ma con il cimino sensibile, perché a volte i saraghi mangiano guardinghi, sospettosi. Scegliamo solo le migliori bobine di filo a disposizione, con una sezione intorno allo 0,25 e cioè abbastanza per reggere la trazione necessaria a liberare la zavorra dal fondo sabbioso, ma abbastanza sottile per non creare la fastidiosa “pancia” che spesso fa spostare l’esca dal punto desiderato.
“Un amo, massimo due, su braccioli il più possibile lunghi e sottili. Se proprio dobbiamo, sacrifichiamo la lunghezza e manteniamo minima la sezione”.
Paratura e esche
Pater noster, è presto detto. La paratura a due ami è la più indicata. Se però il mare è davvero troppo agitato, allora è meglio adottare una mono amo, più gestibile in condizioni limite. La sezione del bracciolo è da scegliere sul momento, osservando le condizioni del mare, la presenza di corrente, di alghe e altri eventuali ostacoli. Meglio usare un bracciolo sottile e corto che uno più lungo ma di sezione esagerata. In ogni caso, il filo deve essere in rigido fluorocarbon. Le esche “da saraghi” sono sostanzialmente 3: gamberi, seppie e bibboni. Il gambero si innesca senza testa, bloccato con del filo elastico. È l’esca che sarà assalita di più anche se attira spesso piccoli esemplari, fastidiosi perché riducono l’inganno inservibile in pochi minuti. La seppia si innesca in lunghe strisce sottili, bloccate con pochi giri di filo elastico. Il grosso bibi si può preparare “a caramella”, ma rovesciato risulta essere l’esca con il tempo utile in acqua più lungo. Il controllo periodico e frequente delle esche assicura che in acqua ci siano sempre degli inganni in condizioni ottimali.
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