Gli abissi sono da sempre nell’immaginario collettivo, per tantissimo tempo inesplorati e ancora oggi difficili da scoprire in alcuni tratti, un misto tra leggenda e realtà… soprattutto per chi li abita.
Immaginare che sotto di noi ci sia un abisso così profondo, alto più di un grattacielo, può fare uno strano effetto, e se quest’altezza cresce arrivando fino ai 200 m, beh, anche a me viene da chiedermi: chissà cosa ci sarà lì sotto! Chissà cosa può accadere a quell’esca rilasciata dalla superficie, mentre scende in tutta la colonna d’acqua, salutando qualche bel pesciolino o incontrando qualche predatore affascinato. Ecco perché non c’è una volta che giunto sullo spot, non abbia quella sensazione particolare di chi sa che sotto ci sono 130,150,160 metri. Forse eccitazione, paura, dubbio di chissà cosa ci sarà lì sotto. Cosa può accadere? Quali difficoltà bisognerà superare una volta allamato un pesce? Come intervenire a certe profondità dove tutto si complica, dove la pressione e le correnti non ammettono errori? Lo slow jigging profondo ha un fascino tutto suo… c’è poco da dire!
Gli spot più validi sono caratterizzati da grandi cadute, piccole pietre, fondali con fango misto a coralligeno, fango e pietra e ben poche zone di sabbia. Questi scenari giustificano la diversità dei pesci e dei loro sensi rispetto a quelli che vivono più vicino alla superficie. A certe profondità sono i rumori, i bagliori, le vibrazioni che fanno la differenza e determinano uno “stile di vita”, tanto è vero che anche l’aspetto degli abitanti cambia o è diverso. Quando si arriva sullo spot è indispensabile fare ricerca, capire come si sviluppa la vita e in particolare il foraggio, il suo percorso, perché di conseguenza possiamo trovare i predatori. Per i meno esperti o quelli che sono abituati alla pesca tradizionale sui 50 metri, sarà un’esperienza interessante scoprire che le dinamiche sul fondo e quelle riportate sul display dell’ecoscandaglio, a 180 metri, non sono paragonabili. Non sarà possibile seguire il pesce che risale dal fondo a mangiare la nostra esca a ogni calata. Bisogna orientarsi diversamente e, grazie a un trasduttore a bassa frequenza, individuare le palle di foraggio e la natura del fondo.
Prede - Pagri, sampietro, occhioni, mostelle, capponi, cernie canine e tunnidi, sono, di norma, i pesci più frequenti. Spesso questi sono legati al tipo di foraggio. E questo è l’elemento che ci fa pensare che in quel momento la preda più probabile sarà una specie oppure un’altra. Le batimetriche più impegnative impongono un pieno controllo dell’imbarcazione, a partire dallo scarroccio, per finire al percorso dell’esca. Se in tutti i precedenti articoli abbiamo sottolineato la necessità di abbinare bene fili, jig e quant’altro, in questo caso l’esigenza di essere “centrati”, per tagliare la colonna d’acqua, è esasperata, visto che le correnti sono come dei fiumi in piena. Tra la canna e il jig intercorre una distanza importante, ecco perché le attrezzature devono essere al top. Una treccia usurata o grossa vanifica il nostro lavoro; una canna inadeguata alimenta la fatica; un mulinello riempito male crea difficoltà sia in fase di discesa che in fase di fuga del pesce; un nodo fatto male salta molto prima rispetto a quando si lavora batimetriche meno profonde. Insomma, tutto viene portato al limite; un pesce di 10 kg pescato a 50 metri ha una reazione che noi percepiamo quasi subito, a 160 metri no, soprattutto se non siamo perfettamente preparati. Ad esempio, un grosso parago pescato a 60 m, probabilmente combatterà dall’inizio alla fine, in maniera costante per quasi tutti i 60 metri, riducendo, dopo le prime sfuriate, la sua energia, che sarà comunque presente ma meno intensa. A 170 metri ha un comportamento diverso, Sicuramente, dopo la mangiata, deve capire di esser stato allamato, e solo dopo inizia a combattere, dando forti testate e compiendo piccole fughe verso il fondo. Poi, di solito, alterna fasi di recupero delle energie a altre sfuriate molto energiche. Questo perché è consapevole delle quote e del tempo/metri che intercorrono tra lui e noi e quindi ogni tanto ripete le sue sfuriate con intensità, dove il rischio, per noi, è di avere brutte sorprese.
Dove - Oltre che gli spot isolati abbiamo l’opportunità di pescare sui banchi. Il termine banco o banchetto, così come anche scritto sulle carte nautiche, sta a segnalare un’ampia zona dove intorno ci sono cadute importanti. La pesca sui banchi a mio avviso è notevolmente diversa rispetto alla pietra isolata. Ecco perché i flussi di corrente che spingono le mangianze, vanno ben valutati, perché se oggi troviamo quei predatori, non è detto che, sullo stesso punto, succeda anche domani. Oppure, addirittura cambia da un’ora all’altra, facendoci magari rivalutare quel punto che avevamo scartato. Oppure come nel caso di alcuni predatori quali le cernie, che si spostano poco dalle loro tane, dobbiamo solo aspettare il momento giusto, quando nelle loro zone si aggirano quelle prede che stuzzicano il loro appetito. Le giornate ai banchi sono dei continui spostamenti e scarrocciate lunghissime. Alle volte ci si trattiene per ore in un punto e alle volte si cambia costantemente, ciò che dico è che va tutto ragionato, se mi sposto e perché sto cercando qualcosa: mangianza sul fondo, un cambio di batimetrica importante, oppure decido di costeggiare una caduta. A meno di precise indicazioni, anche storiche, è utile seguire il probabile percorso delle prede e di conseguenza dei predatori. Se su fondali più bassi la regina può essere la ricciola, qui, su questi spot, la regina indiscussa è la cernia canina, pesce affascinantissimo che raggiunge pesi massimi e esperienza di anni passati a farla franca contro pescatori professionisti e non. Lei, come la ricciola, usa il cervello oltre la forza spropositata che esprime nei combattimenti. La grande cernia canina come, dice un amico, ha una regola, quella dei 3 secondi. Ti dà 3 secondi prima di intanarsi o di partire a razzo tra le pietre. Ma c’è un metodo per riuscire con lo slow jigging a tirar fuori questi mostri degli abissi.
Pesci navigati di 20, 30 35 anni, non sono alla stregua di quelli meno esperti. La reazione è pregna di consapevolezza ed è vero che concedono qualche secondo prima di rompere ma forse… se noi ragionassimo diversamente? Ebbene sì, lei userà parte delle sue energie per ragionare su come poi sferrare i suoi colpi. E qui dobbiamo provare a strapparla da lì sotto, perché come un pugile che ha ricevuto un cazzotto, ha bisogno di assorbirlo prima di reagire. In questo modo si può riuscire a prendere qualche metro, indispensabile per il proseguo del combattimento. Dopodiché, probabilmente, parte verso il fondo, sulla tana o sulle pietre, e qui abbiamo l’obbligo di portare al limite di resistenza le attrezzature. Tipo che può mancare sì e no qualche grammo per rompere tutto. Nella prima fuga la canina capisce se continuare a fare fughe verso il basso e se trova la porta sbarrata cambia decisamente atteggiamento. Si torce su se stessa, dando delle forti testate ma non farà più quella fuga verso la tana. In tutto questo noi avremo guadagnato metri importanti avendola disorientata. Può essere una lotta a limite dell’impossibile ma lei non avrà più sotto il naso la sua tana e quindi dopo i primi 20 metri di risalita forzata può ripartire con le sue sfuriate. Ma, nonostante il suo impegno, difficilmente ci porterà a spingere nuovamente al massimo la resistenza dell’attrezzatura. Così, se non abbiamo danneggiato nulla, agendo sempre con estrema cautela e col filo sempre in tensione, la cernia può risalire senza pericoli. Se estroflette lo stomaco la fase finale diventa ancora più semplice.
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