Sinking Su e Giù
Un corpo, immerso in un liquido, riceve una spinta… Ma no, non c’è bisogno di scomodare “zio” Archimede. Vogliamo in queste pagine descrivere l’utilizzo che si può fare degli artificiali affondanti. A grandi linee possiamo individuare tre famiglie di esche artificiali, distinte in funzione della galleggiabilità: floating, contraddistinti dalla lettera F, suspending e appunto sinking (con la sua bella S). Gli artificiali floating hanno un galleggiamento positivo e cioè sono meno densi dell’acqua che li circonda e tendono a rimanere a galla. I suspending hanno galleggiamento neutro, caratteristica che li rende adatti ogni volta che vogliamo tenere la nostra esca immobile o quasi, sospesa alla quota che il nostro recupero, in combinazione con la particolare forma del corpo o della paletta, le ha fatto raggiungere. È evidente che sono molto ampi i campi di utilizzo di queste due prime varianti. Ma se vogliamo pescare “bassi”, la scelta migliore (sicuramente la più logica) sono i sinking (dall’inglese to sink, affondare).
Questi artificiali, potete bene immaginare, sono disponibili in un’infinità di forme, varianti più o meno innovative dei primi due blocchi di artificiali affondanti: con o senza paletta frontale. Ad un estremo troviamo le cosiddette palettone, termine che inequivocabilmente si associa a modelli dotati di una protuberanza frontale davvero ragguardevole. Il palettone è ben noto agli amanti della traina. I modelli utilizzati nello spinning da terra hanno peso e dimensioni generalmente molto ridotti, rispetto ai fratelli maggiori barcaioli. Raggiunge le quote basse solo quando viene recuperato, grazie alla presenza sul muso si una generosa paletta. Questa dirige l’artificiale verso il basso, ma solo se esso è in movimento. La presenza della grossa paletta non aiuta di certo in fase di lancio, producendo un attrito che di fatto azzera l’aerodinamica dell’artificiale. Ma è la stessa lunga paletta che dona al pesciolino finto un nuoto molto vivace, spesso accompagnato da un’elevata vibrazione che avvertiamo sulla punta della canna. La protuberanza frontale permette, anche ad artificiali di ridotta grammatura, di raggiungere quote altrimenti non pensabili. Qual è il suo campo d’utilizzo? Pensiamoci un attimo: artificiale piccolo che punta verso il fondo, vibrante e scodinzolante… mi è sembrato di sentire sussurrare la parola Spigola! Non solo, barracuda, per lo più quelli più fessi, i piccoli kudini, divertenti, ottimi come palestra per un successivo step verso tecniche più spinte. Le lunghe palette permettono di sondare un’area non troppo vasta, vista la ridotta gittata, ma la loro presenza non passa mai inosservata e se qualcosa, in quel momento, ha fame, attaccherà. All’altro capo della “famiglia affondanti” troviamo i pesi massimi, quasi delle zavorre con sembianze di pesci.
Escludiamo in queste righe l’immenso capitolo metal jig. I sinking di stazza hanno un peso specifico molto superiore all’acqua, caratteristica che li fa andare giù da fermi. A seconda della forma, l’affondamento in fase di recupero può essere accentuato o attutito. Ma la caratteristica che li rende unici è l’enorme propensione al volo. Vanno lontani, molto lontani e, una volta toccata la superficie, scendono giù in pochi secondi. Indispensabili quando di fronte a noi si “apre” un abisso, quando peschiamo con forte vento frontale, quando vogliamo far scendere l’esca sotto le onde di una forte mareggiata. Ecco, in breve abbiamo delimitato il campo dei sinking; in mezzo trovate le varianti e cioè tutti gli ibridi tra gli estremi appena descritti. La stagione che abbiamo alle porte ci catapulterà nelle aree portuali, di notte. E qui un “barra”, speriamo più one che ino, sarà pronto ad azzannare il povero pesciolino che nuota a pochi centimetri dal fondo. Ma l’ignaro kuda non sa che al posto delle squame, il pesce sfoggia una liscia livrea su cui spicca un’unica lettera maiuscola, la diciassettesima del nostro alfabeto.
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