Segreti in Alto Mare

Sono poche le cose nel mondo che danno una scarica di adrenalina così forte come quella di vedere un pesce sotto il pelo dell’acqua, con la pinna dorsale di fuori, che in fulminea accelerazione si lancia contro la tua esca trainata in superficie. Poi, arriva lo strike e l’emozione che vivi è tale che vuoi continuare a riprovarla, a ogni uscita, trasformandosi nel tempo in una vera droga di cui non puoi più fare a meno. 

La barca, muovendosi a certe velocità adatte alla traina d'altura, crea una scia che permette alle esche di muoversi in maniera ottimale all'interno della strike zone.

Traina d’altura - È ben noto che le esche artificiali trainate in altura sono armi micidiali per catturare i più grandi predatori del mare, dai tonni, ai rostrati, come le nostre amate aguglie imperiali, come pure i grandi marlin oceanici. La traina d’altura, però, non va confusa con altri tipi di traina, spesso fatte a basse velocità, a volte bassissime, dove il pescatore s’impegna ad allontanare non poco le esche dall’imbarcazione, pensando che quest’ultima disturbi l’attività alimentare dei predatori. Quando si parla di big game e di traina d’altura, la barca e la sua scia sono in realtà parte del sistema e il segreto del successo sta nell'imparare a usare tutto questo a proprio vantaggio. Quando si utilizzano esche di superficie per la traina d’altura, skirted lures in inglese (quindi esche con gonnellino, in riferimento agli octupus in gomma che sono uniti alla testa), la velocità di traina è elevata: da un minimo di 6 a 8,5 nodi, con situazioni in cui si spinge a 10 nodi e oltre. Le vibrazioni dell’esca e loro la loro scia, e l'acqua bianca prodotta dalla barca, sono componenti che si combinano per formare un efficace dispositivo mobile di richiamo per i grandi predatori. Tanti pescatori, a causa della loro precedente esperienza di traina, come per esempio quella con il vivo, tendono a filare le esche ben oltre le onde di compressione della barca, per paura che la turbolenza dei motori, il rumore e le onde stesse dell’imbarcazione spaventino i pesci. Però, in altura non funziona così! L'azione è concentrata nella zona tra lo specchio di poppa e la fine della scia creata dalla barca e dalla turbolenza delle eliche, o subito dopo, nell’area che nel gergo internazionale viene chiamata “strike zone”.

Qualcuno dirà che a volte ha catturato pesci filando l’esca molto oltre la scia della barca, ma è probabile che quei pesci fossero attratti dall’assetto nel suo complesso e quindi in avvicinamento alla barca. In ogni caso non è conveniente filare le esche oltre misura, visto che l’elasticità del monofilo e l’eventuale pancia derivata dal vento, rallentano e attutiscono l’allamata, tanto da comprometterne l’efficacia. Inoltre, più i pesci si avvicinano alla barca, più diventano aggressivi e quindi si avventano contro le esche con maggior violenza, a favore di una ferrata più sicura. Perché i pesci si avvicinano tanto alla scia bianca della barca? Le ragioni sono certamente varie, ne citiamo alcune. La turbolenza sembra un banco di piccoli pesci foraggio che schiumano e schizzano in superficie in frenesia alimentare. I predatori associano il rumore del motore al passaggio di un peschereccio che scarica in mare scarti di pesce e, dunque, un facile pasto. La scia del motore attira piccoli predatori come tonnetti e sgombri, che cacciano nelle acque bianche per nutrirsi o mimetizzarsi, e questo può, a sua volta, attirare predatori più grandi. In poche parole, a prescindere da ciò che immaginiamo rappresenti la scia della barca per i grandi pesci pelagici, di fatto la nostra imbarcazione non li spaventa in alcun modo. Addirittura, come sanno i pescatori di esperienza, i pesci target più grandi sono ancora più audaci, non hanno per nulla paura e si avvicinano allo specchio di poppa quasi volessero toccarlo. 

Esca colorata coi colori di una giovane lampuga.

L’amo - Prima di stabilire l’assetto di traina dobbiamo fare chiarezza su punto fondamentale: la grandezza dell’amo con cui armare l’esca. È facile intuire che la dimensione sia proporzionata al volume dell’esca. In particolare l'apertura, cioè la distanza tra punta e gambo (gape), deve essere pari al diametro della testa, a prescindere che questa sia una soft head, una testa metallica o in resina. Solo così l’amo, libero per metà dall’ombra della testa, può penetrare in profondità nella mascella del pesce. Ma, oltre il paradigma teorico, spesso è necessario scendere a compromessi. Ad esempio, utilizzando ami più piccoli per non influire sul movimento dell’esca, se si ha qualche dubbio. Oppure più grossi, se abbastanza leggeri e comunque necessari in quel frangente, ad esempio per superare le voluminose ossa mascellari e quindi arrivare ad una ferrata sicura.