Irriducibile tanista, Seby è affabile, gentile e rispettoso. Così nella vita normale, così sott'acqua. L'ormai quarantenne, ex atleta (ma non si sa mai) è maturato nel sociale e segue gli stessi principi anche nel blu. Anche nel confronto con la sua preda preferita: la cernia.
Acese di nascita (jacitano in siciliano), Sebastiano Rosalba vede la luce il 3 agosto del 1985, a Acireale, appunto, nel bel mezzo della costa ionica della Sicilia. Il mare non lo deve cercare, ce l’ha lì, a casa, e poi al babbo piace nuotare e i nonni a Fontane bianche, poco a sud di Siracusa, hanno una villetta. Quindi, sempre sotto l’attenta sorveglianza dei parenti più cari, cresce in ambiente salino e già a sei anni non si separa mai dalla sua cannetta in bambù. Le sue giornate sono divise in due eventi principali: la mattina a prendere il sole sulla spiaggia con la mamma e la sera a pescare negli scogli col fratello e il padre. Residente a Siracusa, già da tempo, il giovane volitivo, con un occhio attento al mondo subacqueo, è protagonista a 15 anni, in un giro della Sicilia in gommone, col babbo. Due settimane di navigazione, indimenticabili.
Come hai iniziato? Diciamo a 15 anni, per convenzione, dopo le esperienze con la fiocina da autodidatta. Un amico di famiglia mi suggerisce di iscrivermi all’Ortigia Siracusa, un club dove socializzare ma soprattutto apprendere i rudimenti teorici dell’andare sott’acqua. Purtroppo l’Ortigia si dissolve e io, ormai indottrinato, approdo subito al Nuoto Sub 2000 di Siracusa.

Hai fatto agonismo? Sì, l’anno successivo ho partecipato alle selettive per il campionato di seconda categoria. Mi ricordo l’Omer 60, lo Sdive Demka 90 e la mitica fiocina a 5 punte. Eravamo a Avola, trenta chilometri a sud di casa mia. Non ebbi fortuna. Ritentai più volte finché nel 2004 fui ripescato e ammesso al campionato di seconda a Portoscuso. Arrivai decimo. Vinse Bruno De Silvestri. Per me fu una gara a due velocità perché la prima manche era troppo impegnativa. Le mie performance in profondità non erano all’altezza. Recuperai il secondo giorno con 7 o 8 pesci a razzolo, tra cui un barracuda e un tordo vicino al mezzo chilo. Comunque rientrai a casa con l’accesso in tasca per il successivo campionato assoluto, ancora in Sardegna a Bosa. Qui la fortuna mi abbandonò. Basse temperature e un’inaspettata mareggiata gelata, mi colsero impreparato. La mia muta da 5 millimetri non era sufficiente, così la giornata d’inizio, fu un fiasco completo. E a poco valse l’appello del giorno seguente, pur con l’aggiunta di un corpetto, un bermuda e un dignitosissimo sesto posto di giornata. Vinse Ramacciotti, io diciannovesimo e senza più il diritto alla prima categoria visto che gli aventi diritto furono ridotti a soli 15. Poi fu la volta in Puglia, a San Foca, nel 2007, con un regolamento nuovo, una sola giornata di pesca e solo 4 ore di gara, vinse Nicola Riolo. Per me non fu una cattiva prestazione, anzi… Presi un sacco di pesce bianco, soprattutto saraghi, ma Paolino Catania mi fregò per un soffio. Lui decimo, io undicesimo. Fu una grande delusione. Ripresi la seconda categoria nel 2011 e fino al 2022 mi alternavo tra la seconda e la prima.

Quindi? Quindi abbandonai l’agonismo: tempo… lavoro… famiglia… Inoltre, a pinne, non sono più competitivo.
Come ti definisci? Per quanto riguarda la tecnica ero e sono rimasto un razzolatore, un sub da tana. Pesco col piombone, come tanti, ma sono distante dai ritmi dell’agonismo.
Dove vai a pescare? Nove volte su dieci in gommone tra Marzamemi e Avola, su batimetriche tra i 35 e 45 metri.
La tua preda preferita? Beh, forse il pesce più frequente è la cernia.

La più grossa? Settembre dello socrso anno a Porto Paolo, con Concetto Felice, siracusano, grande amico mio. Ci alternavamo un’ora a ciascuno, lui sulle mie poste, io sulle sue. A metà giornata era il suo turno. Lo porto su un fondale di 36 metri, con tanta posidonia e un pietrone isolato. L’acqua negli ultimi metri solitamente è bianca, con pochissima visibilità, per cui non ci vado quasi mai. Ma quel giorno l’acqua era pulita. Concetto va giù e si affaccia in uno spaccone dove si nascondeva un cernione. Però, quelle quote non sono congeniali per lui, così la spara d’istinto, di fretta e non riesce a estrarla. Risale in superficie e concordiamo una discesa insieme. Ancoro il gommone col Minn Kota, scendiamo insieme e senza grandi fatiche la portiamo su. 27 chili, con un polpo in bocca.

Un episodio importante? Sempre lo scorso anno, vado a pesca col piombone: 15-20 tuffi. Una giornata impegnativa. L’indomani vado a fare un bagnetto in relax, ma avevo l’attrezzatura in gommone. Mi vien voglia di scendere. Penso: faccio 5 tuffi in diversi segnali tra 40 e 45 e poi via. Rientrando, in un fondale di 30 metri decido di fare il tuffo finale. Vedo una cernia intanata. Sparo e s’incastra. Il mare era calmo, mi dava fiducia. Però sono costretto a scendere più volte e sentivo la fatica. Intanto sale il vento e il Minn Kota non aveva più carica. Quindi calo l’ancora ma il grillo della catena si stacca. Ero affannato e preoccupato. Mi sentivo male. Lascio la cernia, fucile e compagnia bella e cerco di riprendermi bevendo. Dopo qualche ora la normalità si stabilizza e posso rientrare. Nel frattempo avviso Concetto e Ruggero per organizzare il recupero il giorno dopo. È finita bene. Io non ho avuto conseguenze e abbiamo recuperato la cernia. Ma ho corso un rischio, perciò: attenti alla stanchezza!
Un aneddoto? Dopo una giornata di pesca a Marzamemi, col piombone, mi ero quasi rassegnato per i pochi pesci sparati. Poi decido di provare in uno spot nuovo, mai esplorato. M’immergo e trovo 6-7 cernie. Mi concentro su una che mi sembrava bella grossa mentre le altre si allontanano. Questa però a ogni tuffo si faceva trovare in una posizione diversa e non ho avuto il coraggio di insistere. Ma ci sono tornato la settimana successiva. Era lì, dove l’avevo lasciata. Vedevo bene il groppone, sparo e la estraggo in un attimo: un tuffo, una cernia.
Un bel posto? La Sardegna! Granito, acqua pulita, bei fondali e persino un sacco di pesci.
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