Schiuma e Microsfere
È iniziata con ottobre la “bella” stagione del surfcasting. L'alta pressione estiva ha dominato per troppo tempo, “costringendo” il pescatore amante delle onde alla finestra, nella speranza di vedere all'orizzonte un barlume di perturbazione e sentire sulla faccia un po' di brezza fresca. L'attesa è finita e già le prime forti maestralate hanno interessato le coste occidentali, smuovendo il fondo sabbioso delle lunghe spiagge, vero e proprio monumento di questo sport, ed aprendo le danze alla stagione del surfcasting. È quindi giunto il momento di preparare la sacca con gli attrezzi pesanti e spolverare le zavorre egiziane (piramidi). Sembrerebbe un copione già scritto, da ripetere ogni anno uguale, seguendo un codice scolpito nella pietra. Ma se il surfcasting affascina ed avvicina ancora tanti giovani appassionati, lo deve soprattutto alla capacità di rinnovarsi, sperimentare. Non tutti hanno questa indole; resistono a tutt’oggi pescatori che continuano ad usare le tecniche di decine di anni fa, ma anche i loro racconti di pesca sono datati e la diminuzione delle catture viene imputata ad un progressivo impoverimento del nostro mare (vero), senza però che nessuno si faccia un vero esame di coscienza. È purtroppo assodato che le spigole non invadono più le nostre coste come tanto tempo fa, i branchi di saraghi sono sempre meno numerosi e le orate, quelle grosse, ormai sono merce rara. Ma proprio per questo bisognerebbe fare uno sforzo mentale e tentare di adattare la tecnica di pesca alle nuove condizioni che il mare ci presenta. Non parlo di stravolgimenti che snaturino il surfcasting ma di piccoli particolari per rendere l'azione di pesca più produttiva.
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