Saraghi tra i Piedi
Davanti ai miei occhi finalmente un bel mare. Quattro, cinque onde si susseguono ed il frangente, il punto dove si forma l'onda più lontana, è a distanza di tiro, a non più di sessanta metri. Ho fatto un mucchio di strada per arrivare sin qui. Prima tanto asfalto, lo stesso che domani mattina mi attende per il ritorno a casa, stanco ed infreddolito. E poi tanta sabbia, perché lo spot, quello davvero “giusto”, distava dal parcheggio qualche centinaio di metri. E, manco a dirlo, domani mattina, stanco e infreddolito, dovrò caricarmi in spalla tutta l'attrezzatura per raggiungere la macchina. Insomma, dopo tanta strada, con le orecchie sature del rumore del mare e le narici dilatate per assorbire appieno l'aerosol naturale, finalmente ho montato la prima canna, con una grossa zavorra. La faccio pendolare per qualche istante. Il peso dell'attrezzo, del mulinello, del piombo e dell'esca, non mi procurano fatica, c'è tempo per quella. Adesso la voglia di lanciare è infinita, smodata, impellente. Poggio il piombo sulla sabbia, carico e via! Più lontano che posso, per superare appena il frangente, il luogo dove i manuali del surfcasting e l'esperienza, mi consigliano di lanciare. Lo so, questa operazione, nell'arco della notte, sarà ripetuta decine e decine di volte. Poggio la canna sul picchetto, osservo la punta in pesca, taro la frizione e sono pronto a montare la seconda canna. Ho deciso, pescherò con tre canne. Un po' questa scelta è dettata da esigenze di spazio. Con Marco, mio abituale compagno di pesca, abbiamo deciso di suddividerci uno spot che presenta due bei canaloni ed una punta interessante. Al massimo riusciremo a tenere in pesca cinque o sei canne, visto che da una parte le rocce ci impediscono di lanciare e sull'altro lato le alghe si accumulano sempre in numero maggiore. Ma anche se avessi avuto molto più spazio, personalmente non avrei montato una quarta o addirittura una quinta canna. Infatti, con mare grosso, preferisco stare costantemente “sul pezzo”, controllando in rotazione i tre attrezzi in pesca, per evitare che le lenze si ingarbuglino e che la zavorra venga irrimediabilmente risucchiata dalla sabbia. In un attimo siamo tutti e due in postazione. Le canne in mare da due diventano prima quattro, poi sei. Arrivando sul posto, con il fiatone grosso dovuto alla camminata, ci siamo scambiati brevi pareri. Tutto quello che dovevamo decidere l'abbiamo detto in macchina ed ancor prima nei giorni precedenti l'uscita a pesca: lo spot lo conosciamo benissimo, le condizioni meteo cercate erano proprio quelle riscontrate dai siti specializzati e l'esca da usare qui, per noi non è un segreto. Insomma, in assoluto silenzio abbiamo trascorso la prima ora di questa tanto attesa uscita a surfcasting. Adesso le sei canne sono in pesca, ma nessuna sembra dare “segni di vita”. Siamo tutti e due in piedi, accanto alla sesta canna, sul confine del nostro spot e con lo sguardo vigile sulle punte del sestetto. “Manco una tocca!”, esordisce Marco. “Neanche io” gli rispondo e continuo “ma tu hai lanciato sotto?”. Marco mi guarda scuote la testa e mi risponde “No, neanche tu vero? Che coglioni!”.
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