Rivedere i limiti del pescato
Il pezzo di Sandro Onofaro sulla traina al tonno rosso con l’esca viva, che potete “divorare” a pagina 24, spinge a una riflessione che, nel suo complesso, chiama in causa le norme attualmente in vigore sulla pesca sportiva. Pur con tante sfaccettature che caratterizzano e differenziano anche sensibilmente una tecnica da un’altra, in tema di limiti del pescato, non si pratica nessun distinguo. Pesca in mare e pesca in acque interne si fermano al limite dei 5 chili. Tra la pesca da riva e quella in barca idem. 5 chili. Così vale anche per la pesca in apnea. Perché, dunque, citiamo Onofaro? Perché la sua specialità in confronto a tante altre risulta notevolmente più onerosa. Ma non è che paghi tutto Onofaro o la traina al tonno. In genere, le specialità che fanno uso di una barca, richiedono un maggior impegno economico, pertanto meriterebbero un’adeguata considerazione con limiti di prelievo molto meno stringenti. Il caos legato alla pandemia e le risorse venute a mancare, sostengono e danno ragione, come mai, a quel movimento che oggi richiede un’equa attribuzione dei limiti. Tutto ciò, non solo in riferimento ai denari che si spendono e che mantengono in piedi più settori, ma anche all’impatto sull’ambiente. Infatti, i 5 chili pescati nel sottocosta hanno un’incidenza ben diversa dai 5 chili pescati a bolentino o in traina d’altura. Come dire che allontanandosi dalla costa, la pesca risulta sempre più sostenibile. Basterebbe, ma è solo un’idea, commisurare il limite del prelievo a uno standard di spesa considerando anche il livello dell’ipotetico danno all’ambiente.
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