Esca grossa pesce grosso. Questa è l'estrema sintesi del nostro autore, proposta con tutti gli ingredienti necessari per fare tentativi ragionevoli e col rischio di incappare addirittura nel... tonno.
È sicuramente lei la preda più ambita, la più desiderata da tutti i trainisti: la ricciola. Scaltra e imprevedibile come pochi altri pesci del nostro mare. Purtroppo, bisogna aggiungere che la ricciola, almeno di una certa taglia, è abbastanza rara, almeno dalle nostre parti. In realtà, capita che certi spot diventino un ritrovo quasi abituale di ricciole di media taglia, parliamo di pesci di 4-5 kg, che in banchi perlustrano grandi secche su fondali medio bassi. Si tratta di esemplari piuttosto giovani che nei momenti di frenesia diventano aggressivi e divertenti, pesci di tutto rispetto. La tecnica in questo caso non si discosta dalla classica traina col vivo, poiché sono pesci che una volta intercettati nei momenti di attività, non hanno paura di attaccare le esche. Ma la pesca mirata alla ricciola, quella vera, è tutt’altra cosa, ben consapevole che spesso un pizzico di fortuna non guasta e infatti, ho visto prendere ricciole in modi veramente inaspettati.
Esca - Ciò che realmente può fare la differenza nella ricerca delle grandi ricciole è senza dubbio l’esca. Infatti presentare un grosso innesco a mezz’acqua, possibilmente a ridosso del termoclino, facilmente individuabile dal nostro eco- scandaglio, è il miglior modo per far perdere alla nostra amica la sua proverbiale diffidenza. Parliamo principalmente di tombarelli, alletterati, palamite, lampughe o in alternativa grossi sgombri o sugarelli.
Pesci anche da un chilo o più! Si muovono in grandi banchi e la ricciola ne va ghiotta. Procurare queste esche in alcuni periodi dell’anno non è difficilissimo, soprattutto a fine estate e autunno. Proprio in questo periodo, vista la facilità di reperire l’esca è consigliabile dedicare qualche mattina a una pesca alternativa, sacrificando i classici calamaro e dentice, pur col rischio di fare cappotto, e cercare invece il pesce della vita. Infatti, nelle stesse zone in cui si concentrano i grandi banchi di mangianza e in cui solitamente peschiamo i calamari o sugarelli, dedicando un po’ di tempo alla trainetta veloce, possiamo reperire un paio di esche grosse e tentare il colpaccio. Io, solitamente utilizzo piccoli kona, piumette, unghiette o piccoli minnow, variando la velocità in base all’esca utilizzata. Ad esempio i piccoli kona, apprezzatissimi dalle lampughe, trainati anche a 6-7 nodi, diventano micidiali. Unghiette, piumette o minnow richiedono una velocità più moderata, ma non per questo sono meno efficaci. Una volta riusciti nell’intento, bisogna pensare alla conservazione delle esche. Per le lampughe o gli sgombri non vi sono grandi problemi, un’ampia vasca del vivo ben ossigenata consente di tenere in vita le esche per ore. Discorso a parte meritano i piccoli tunnidi, che hanno bisogno di una notevole ossigenazione, non garantita dalla vasca del vivo. Ed ecco che entra in gioco il tuna tube, un semplice strumento, che con un po’ di manualità può essere facilmente auto costruito, nel quale il pesce, pur non nuotando, viene investito da una quantità d’acqua tale da ossigenarlo. Ma ricordo ancora i primi tentativi di alcuni anni fa effettuati in assenza di tuna tube. Per ovviare al problema effettuavo la trainetta alla ricerca delle esche, direttamente ai margini dello spot prescelto, avendo cura di avere la canna da traina già pronta e a portata di mano. Infatti non appena catturata l’esca giusta, veniva prima slamata e poi innescata, entrando immediatamente in pesca. Certo si tratta di un metodo più grossolano, che limita parecchio, però per chi fosse ancora indeciso o non perfettamente attrezzato, è un modo alternativo e efficace, in attesa di prepararsi meglio. Merita una citazione anche il grosso calamaro, esca che frequentemente entra nelle nostre vasche del vivo
Questo perché pur non essendo un’esca selettiva come quelle citate in precedenza, anche un grosso calamaro rappresenta una valida soluzione. Il tentativo che spesso faccio e che a volte ha pagato, è calare il calamaro innescato con due ami, rigorosamente fissi, con un lungo preterminale da 25-30 metri e una piombatura molto leggera. In questo modo si ottiene una presentazione mol-to naturale, col calamaro staccato di almeno 15 metri dal fondo, al riparo, per quanto possibile, dai pesci disturbatori. Non si tratta di nulla di eccezionale o innovativo e non sempre il risultato è quello sperato, poiché se un dentice ha individuato il nostro calamaro non esiterà a risalire la batimetrica per attaccarlo, però si dà una speranza in più al nostro innesco di passare inosservato e aspettare l’arrivo di una bella ricciola.
“... invece la reazione della ricciola è sempre quella di raggiungere il fondo e cercare ogni ostacolo per rompere il finale.”.
Terminale e innesco - La cura dei terminali nella ricerca delle grandi ricciole riveste più che mai un’importanza fondamentale. Non che con altri pesci sia meno importante, pensiamo ad esempio al tonno, il cui combattimento è oltremodo impegnativo, ma risulta, a volte, decisamente più prevedibile. Invece la reazione della ricciola è sempre quella di raggiungere il fondo e cercare ogni ostacolo per rompere il finale. Il suo modo di combattere la rende tra i pesci più furbi dei nostri mari, tanto che l’esito del combattimento è incerto fino all’ultimo. La lenza che utilizzo è in realtà molto semplice: un preterminale in nylon molto morbido dello 0,60 circa, lungo almeno 25-30 metri, questo per avere una presentazione dell’esca quanto più naturale possibile. Il terminale, è sempre dello stesso diametro ma in fluorcarbon, realizzato quasi esclusivamente con un singolo amo circle o semi circle, che garantiscono una ferrata e tenuta eccezionali e una maggiore sicurezza nel caso che al posto della ricciola abbocchi un tonno, evento frequente almeno dalle mie parti. Per l’innesco, zero fronzoli, in base alle preferenze. Personalmente adotto principalmente 3 tecniche. Quando posso, da grande estimatore dell’innesco catalina, utilizzo piccoli ma robustissimi elastici da parrucchiera, oppure, in presenza di esche più voluminose i classici elastici in caucciù. In questo modo passando con un ago le narici del pesce e facendo scorrere il piccolo elastico, in un attimo abbiamo un innesco perfetto e super vitale per tante ore. Quando la dimensione dell’esca è decisamente importante passo direttamente agli ami costruiti con un apposito nose ring in acciaio inox, in modo da evitare qualsiasi rischio di rottura degli elastici durante l’azione di pesca. L’ultima possibilità, la meno frequente, è forare con l’amo l’apparato boccale del pesce, dal basso verso l’alto.
Zavorra - Infine, concludendo il discorso riguardante l’assetto in pesca, una citazione sulla piombatura. Utilizzo due impostazioni di base, rapportando il peso della zavorra alla profondità dell’acqua. Il classico piombo guardiano, in questo caso molto leggero, avendo cura di posizionare l’innesco sulla fascia d’acqua desiderata, magari sfruttando il colore del trecciato che ci dà un’indicazione sulla quantità di filo uscita dal mulinello. La seconda impostazione è la piombatura frazionata, inserendo due piccoli piombi con l’ausilio degli elastici e posizionandoli a distanza di 15-20 metri l’uno dall’altro.
Velocità - Con questi inneschi la velocità di traina è fondamentale e deve essere piuttosto sostenuta. Questo per due aspetti: parlando delle esche siamo di fronte a pe-sci veloci per natura, abituati a spostar- si e battere grandi estensioni d’acqua, pertanto trainarli lentamente potrebbe affaticarli e stressarli. Inoltre una volta che una ricciola si interessa alla nostra insidia, la velocità giocherà a nostro favore, stimolandone l’aggressività e dando meno tempo al predatore di studiare l’inganno. Pertanto impostiamo una velocità di almeno 1,5-2 nodi. Il che consente anche di sondare velocemente lo spot in lungo e largo, non tralasciando di percorrere ampi tratti trainando ai margini della secca, dove spesso stazionano le grandi ricciole.
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