Riccio e Cucaione
La specie di cui parleremo questo mese è il riccio di mare (Paracentrotus lividus, Lamarck 1816) un echinoderma appartenente alla famiglia degli Echinidi, parente stretto delle stelle di mare con le quali condivide numerose caratteristiche fisiche. Come si intuisce dal nome, gli echinodermi sono caratterizzati dalla presenza di aculei sulla pelle. Questi sono mobili su una particolare articolazione che gli consente di spostarsi sul fondo, utlizzandoli come decine di zampe, coordinate con delle strutture particolari chiamate pedicelli ambulacrali, che sono delle speciali strutture estroflessibili con una piccola ventosa all’apice che aderiscono al fondo consentendo il movimento. Tutti gli aculei poggiano su uno scheletro interno, la cosidetta “teca”, formata da tante piccole placche di natura calcarea cementate l’una all’altra a formare una specie di guscio che racchiude gli organi interni, fra i quali le prelibate gonadi. E’ una specie diffusa in tutto il Mediterraneo. E’ presente anche in Atlantico, dalle coste dell’Irlanda e della Scozia alle coste Canarie. Questo organismo può raggiungere un diametro massimo della teca di circa 7 centimetri. Del riccio si mangiano le gonadi, sia quelle maschili che quelle femminili, che compiono il loro accrescimento ed il loro sviluppo a partire dal mese di ottobre-novembre fino ad arrivare ai mesi primaverili, nei quali avviene l’emissione in acqua libera dei prodotti sessuali. La fecondazione avviene in acqua libera e le larve rimangono in sospensione per circa un mese, prima di fissarsi al fondo e trasformarsi in piccoli riccetti. E’ una specie prevalentemente notturna che durante il giorno ama ripararsi fra le asperità del fondo e tra le radici della Posidonia oceanica, soprattutto nelle fasi giovanili. La sua distribuzione batimetrica va dai pochi centimetri d’acqua ai 50-60 metri circa di profondità. Si nutre di detriti, alghe e foglie di posidonia che strappa dal fondo e mastica letteralmente con il suo apparato masticatore chiamato lanterna di Aristotele, costituita da cinque denti mobili visibili girando un riccio e osservando l’area centrale della bocca.
Risotto agli asparagi mantecato ai ricci
Ingredienti per quattro persone: 320 grammi di riso Carnaroli, un mazzetto di asparagi, 100 grammi di polpa di riccio fresca, 4 piccoli scalogni, olio extravergine d’oliva, sale, pepe, un bicchiere di vino bianco.
Esecuzione: lavate e mondate gli asparagi, tagliatene le parti legnose e separate le punte morbide e succose. Preparate intanto una pentolina con acqua e il solito bouquet di sapori, ottenuto rovistando tra gli avanzi del frigo (qualche rametto di prezzemolo, pezzetti di cipolla, carota, uno spicchio d’aglio) e i rametti duri, precedentemente separati degli asparagi. Portate ad ebollizione per 10 minuti quindi filtrate e tenete in caldo. In una risiera, dal fondo antiaderente, versate qualche cucchiaio d’olio e gli scalogni tritati finemente, fate imbiondire quindi aggiungete il riso e lasciate tostare per due minuti a fiamma alta prima di versare un bicchiere di vino bianco da far sfumare sempre a fiamma sostenuta. Versate le punte d’asparago (se volete potete tagliuzzarle a pezzetti più piccoli) e fate cuocere il riso abbassando la fiamma ed aggiungendo lentamente il brodo bollente precedentemente ottenuto. Fate in modo di mantenere il riso sempre umido durante la cottura ma evitate di versare troppo liquido di colpo, questo perché un eccessivo rilascio di amidi provocherebbe la “scottura” dei chicchi compromettendo almeno in parte la riuscita del piatto. Regolate di sale e pepe a piacere tenendo comunque conto della sapidità dei ricci e, a cottura quasi ultimata (il risotto, come la pasta asciutta deve finire di cuocere nel piatto) togliete dal fuoco ed aggiungete i ricci mantecando delicatamente anche con un filo d’olio extravergine. Servite ben caldo. Se volete potete dividere il risotto in quattro stampini che poi sformerete o pressarlo dentro un coppapasta della forma voluta per ottenere un bell’effetto scenico che può essere migliorato ulteriormente decorando sopra con della polpa fresca, tre asparagi di lato e qualche goccia d’olio sui lati del piatto.
Franco Oghittu
Simpatico animaletto, il riccio, che mi fa pensare all’infanzia quando con il piede sulle ginocchia di mia madre sopportavo il dolore provocato dall’ago da cucito opportunamente sterilizzato sulla fiamma dell’accendino, sorta di arnese operatorio, che rovistava sul mio tallone alla ricerca delle spine conficcate dopo una giornata passata sugli scogli di Capo Carbonara.
Di quelle giornate ho quasi rimosso il dolore provocato dagli arcaici interventi chirurgici, mi è rimasto il profumo, la salsedine e lo iodio in bocca dei ricci appena pescati.
I ricci che sono l’ingrediente principale del piatto proposto questo mese e che, assieme agli asparagi, anch’essi dotati di intensi profumi e rari sentori, ne costituiscono la struttura, la base su cui incentrare il discorso dell’abbinamento. Il riso con la sua tendenza dolce e debole consistenza richiama l’apporto di acidità (freschezza) e medio contenuto d’alcool. Ma l’insieme dei profumi che si scatenano dall’unione degli asparagi e dei ricci ci inducono ad accostare un vino bianco profumato e persistente, giovane di fiori freschi, intenso sia al naso che in bocca ma che allo stesso tempo non prevalga creando una giusta armonia. Ho pensato ad un Vermentino di Gallura docg quale è questo Cucaione di Mancini, denso e fragrante, può abbinarsi bene soprattutto se servito a 10°C o anche qualche grado in meno per esaltarne la freschezza senza mascherarne la tipica, percettibile, aromaticità.
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