Regina a Mare Piatto
Il primo giorno Andrea lo trascorse nella preparazione dell'uscita a pesca. Non certo un'operazione da poco, visto che il pescatore aveva deciso di allontanarsi dai comfort della vita cittadina, per assaporare la frugalità di un'esperienza in totale autosussistenza. L'auto sarebbe stata la sua casa per i giorni seguenti. Quanti giorni? Andrea non lo poteva prevedere; sperava due, massimo tre, giusto il tempo per trovare la spiaggia giusta e lì pescare la grossa spigola che cercava. L'auto, svuotata del superfluo, adesso sarebbe stata riempita da scorte alimentari e attrezzi da pesca, il minimo indispensabile per la sopravvivenza in una spiaggia solitaria. Ogni spazio del mezzo fu riempito dal pescatore con ordine e cura; movimenti studiati e automatici, grazie alle tante uscite di questa stagione, ormai alla fine. La stagione della spigola, quella che per risultati e meriti, negli anni aveva maggiormente premiato Andrea. Certo, con l’arrivo dalla primavera lui non avrebbe smesso di andare a pesca (mica scherziamo): lo attendevano le lunghe e soleggiate battute dedicate alle orate, le grosse orate. Ma per la spigola, per la pesca col vivo, per le difficili condizioni ambientali, Andrea aveva sempre avuto un debole. Finalmente i lunghi preparativi terminarono, il bagagliaio pieno concedeva solo un piccolo spazio sopra la sacca delle canne; lì Andrea adagiò con delicatezza la sua inseparabile compagna, la chitarra acustica da far vibrare nelle lunghe notti solitarie, sotto un cielo color della pece. Il pescatore chiuse l’ultimo sportello, mise mano alle chiavi e proprio mentre stava per partire rabbrividì ed esclamò: “Melisenda! Cazzo, stavo per partire senza Melisenda!”. Ogni uomo, ancor più ogni pescatore, ha dei vizi; diffidate di chi dice di non averne. Quello che Andrea esibiva con più frequenza era l’amore per la caffeina. “Potrei rimanere a pesca anche senza esca, non senza caffè!”. Figuratevi lo spavento che provò il povero Andrea quando realizzò che stava per partire senza la sua inseparabile caffettiera, Melisenda appunto. Il nome ricordava una vecchia avventura, proprio nella spiaggia ogliastrina, con protagonista la preziosa moka regalata da alcune anime pie, impietosite dall’evidente stato d’astinenza da caffè esibito dal nostro eroe. Scampato il pericolo, Andrea partì quando ormai il sole tramonta e la notte lo inghiottì.
La ricerca del vivo
Mancava ancora un ultimo, fondamentale, compagno di viaggio: l’esca. Andrea decise che per questa volta avrebbe fatto il raffinato. Scartò l’idea di procurarsi i muggini in uno dei tanti canali del cagliaritano. Decise che li avrebbe cercati tra gli scogli e nelle insenature in mare, vicino alle spiagge dove aveva pensato di fissare il suo campo base. Si spinse verso est, guidato da previsioni meteo che promettevano condizioni vantaggiose in questo tratto di costa. Venti orientali avevano iniziato a soffiare da giorni e adesso, in attenuazione, garantivano la certezza di un moto ondoso non troppo sostenuto e tanta schiuma. Proprio quello che cercava Andrea. Trascorse la notte alla ricerca dell’esca; la trovò, in tutto 30 muggini. In realtà non si trattava di un numero elevato, anzi… Andrea avrebbe sperato di radunare un “esercito” di almeno il doppio di piccole esche guizzanti. Ma la natura questo gli propose e lui accettò la sfida. Riempì il grosso barile di plastica bianca con dell’acqua e qui conservò la preziosa esca. Diede corrente agli ossigenatori e si rimise in cammino. Il secondo giorno il pescatore arrivò nella piccola spiaggia che pensava di occupare, vista la vicinanza con una foce ancora ben aperta. Sfortuna volle che lo spot fosse già presidiato da alcuni pescatori. Lo spazio ristretto non permetteva l’aggiunta di una sola canna in più. Urgeva un piano B! Andrea non si scomposte e puntò il timone verso lo spot successivo. Qui non trovò nessuno. Le alghe, trasportate dal forte scirocco, avevano invaso la spiaggia e anche i primi metri d’acqua. Ma il pescatore sapeva che la corrente avrebbe trasportato l’ingombro verso nord, lasciando un bello spazio pulito, sufficiente per lanciare alcune esche. Quindi si fermò un attimo a ragionare: era arrivato, il mare era quello sperato, aveva l’esca. In poco tempo, con movimenti studiati e padronanza della materia, Andrea preparò cinque canne con paratura identica. Mulinello rotante con 0,35 diretto, piombo montato scorrevole e lungo finale dello 0,40 su cui innescò un muggine per canna. Lanciò in acqua con tutta la delicatezza del caso, vista la fragilità dell’esca. Ebbe subito un positivo riscontro. Una cattura, una piccola spigola che però era il segnale che l’esca funzionava. Intanto però le condizioni meteo iniziarono a mutare. Il vento, fino a quel momento quasi assente, prese a soffiare con forza. Il cielo, fino a poco tempo prima chiaro, divenne color del piombo e un violento temporale si abbatté sulla costa. Il tutto senza che i bollettini ne facessero una minima menzione… Il pescatore non temeva queste manifestazioni della natura, anni di solitarie l’avevano forgiato. Ma lo stesso non si poteva dire delle deboli esche, trasportate e maciullate dalla forte corrente. In poco tempo Andrea fu costretto a recuperare le esche ormai inservibili e aspettare che il tempo migliorasse. Intanto, nonostante gli ossigenatori, altre esche non resistettero e in breve tempo, sempre lui, perse altri cinque mugginetti. Gli rimanevano 20 inganni a disposizione.
“Il pesce aveva trasportato, parallelo alla spiaggia, centinaia di metri di filo. Una leccia, pensò Andrea, ma poi, quando portò la preda più vicino a riva, riconobbe l’inconfondibile sagoma della spigola”.
Un ultimo sforzo
Il terzo giorno non iniziò affatto bene. La tempesta della notte aveva reso impossibile pescare e il mare si era riempito nuovamente di alghe. Andrea decise di cambiare spot, ma si accorse che la strada adesso era un acquitrino e dovette muoversi lentamente, rischiando più volte di rimanere impantanato. Le scorte di viveri iniziavano a scarseggiare, per fortuna non il caffè. “Andrò avanti, alla prossima spiaggia!” si motivò da solo. Ma anche la terza scelta si dimostrò infruttuosa. Ogni volta era costretto a scaricare l’attrezzatura per poi ricaricarla in macchi-na. Una fatica resa ancor più immane dalla mancanza di sonno. Trascorse così il terzo e il quarto giorno. Andrea fece la conta dei muggini: ora aveva a disposizione solo 9 inganni e i tentativi di rimpinguare la scorta di esca si scontravano con condizioni impossibili per la raccolta. Il quinto giorno il pescatore era completamente svuotato. Vuota era la cambusa, tanto che Andrea cucinò l’unica spigola pescata, consumando un pasto squisito quanto disperato. Vuoto era il barile dell’esca, con la moria che non accennava a fermarsi, riducendo la scorta ad appena 5 mugginetti. Vuoto era ormai anche il serbatoio dell’auto. Gli spostamenti imprevisti avevano portato l’indicatore quasi al livello della riserva e Andrea non aveva con sé moneta. È proprio vero che per accogliere c’è bisogno di spazio, per respirare ossigeno nuovo bisogna prima svuotare i polmoni dall’aria viziata. Andrea, senza saperlo, adesso era pronto. E dire che la giornata non sembrava essere “da spigole”. L’alba rivelò un mare piatto, cielo sgombro da nuvole e assenza di vento. Il pescatore mosse verso le tre canne che aveva potuto lanciare in acqua. Una da subito lo incuriosì. La punta era dritta, canna in bando. E la lenza “correva” tutta di lato, parallela alla riva, il rotante aveva ormai pochi metri di lenza in bobina. Una leccia! Pensò subito Andrea. Infatti di norma una spigola non fila tanta lenza. E invece… Andrea recuperò decine e decine di metri di filo prima di riconoscere, quasi ormai a riva, l’inconfondibile sagoma di una spigola, una grossa spigola, l’esemplare che stava cercando. Dopo la cattura seguì una lunga fase di riflessione. Il silenzio rotto solo dal fischio di Melisenda. Il pescatore aveva ben poco da caricare in macchina, quasi tutto l’aveva preso il mare in quei 5 giorni. Sempre in silenzio mise in moto e fece rotta verso casa. Molto più leggero, molto più ricco.
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