Passione Popper
Una tavola d’acqua completamente piatta… all’improvviso una serie di spruzzi: due, tre, in rapida successione lungo una possibile direttrice di fuga. Dietro la preda, una sagoma scura che ha ormai deciso di sferrare il suo attacco. Immagino sia questa, o quanto meno una sua analoga variante, la scena che ha ispirato l’inventore del popper. Il popper è inquadrabile all’interno della grande categoria degli artificiali di superficie, le cosiddette esche top water. Normalmente questo inglesismo abbraccia la gamma di artificiali manovrabili a galla; è proprio sul pelo dell’acqua, infatti, che il popper esplica le sue particolarissime e micidiali proprietà adescanti. Sapete da dove deriva lo strano termine “popper”? È del tutto evidente che si tratta di un’onomatopea; evoca, cioè, il caratteristico rumore “pop-pop-pop” prodotto dal plastichetto recuperato a piccoli strappi con la canna alta. Importato dalla pesca in acque interne, quest’artificiale negli ultimi anni è stato oggetto di un vero e proprio boom dando vita, nella sua massima espressione di utilizzo, ad una vera e propria disciplina di pesca a se stante: il popping praticato dalla barca alla ricerca dei grandi predatori quali tonni, GT ed altri affamati carangidi. Da terra il nostro raggio d’azione sarà ovviamente ridotto ma interesserà comunque un buon ventaglio di prede: spigole, barracuda ma soprattutto serra, lampughe e… lecce! Già, perché in particolari situazioni anche le adulte e ormai smaliziate lecce possono essere insidiate con il popper, oltre che con i vari surface e skipping lures. Una decina di anni fa non era raro riuscire ad ingannare questi magnifici predatori; specie con il popper, infatti, in Sardegna si è fatto scuola di spinning. Oggi, vuoi per la differenziazione dei flussi migratori, vuoi per il fattore “memoria genetica” le cose sono decisamente cambiate. Di tanto in tanto, comunque, qualche big “esce” ancora (continua sul giornale).
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