Lungo e magro, così si presenta! Sullo stile di Cristian Corrias, il pescatore subacqueo di punta dell’agonismo sardo e forse italiano. La muta è colorata, con idee e fantasie inedite, comunque accattivanti e in tono con i cromatismi e l’ambiente del-la granitica Gallura. Lui è Gabriele Fraoni, laerrese, classe 1987, grafico di professione. Come tanti matura una passione sfrenata per il mare a seguito del padre che l’ha iniziato all’arte della caccia subacquea, nelle acque e tra gli scogli dell’Anglona, fino alla Gallura di Costa paradiso.
Vuoi descriverci questo ambiente? Partendo da Castelsardo, il fondale è vulcanico, scuro, con pareti a strapiombo e cadute di massoni. Arrivi alla Ciaccia su un fondale abbastanza basso, ottimo per le spigole d’inverno, mentre un po’ più fuori il fondale è ricco di grosse lastre completamente aperte con saraghi e corvine in abbondanza, anche se è molto difficile prenderli perché hanno molte vie di fuga. Poi diventa tutto sabbia, fino a Badesi. I saraghi e le corvine si trovano nelle secche dai 12 metri in poi. All’Isola rossa riprende una roccia scura e poco prima, a Li feruli, si incontrano grosse orate. Poi si fa strada il granito che caratterizza la Gallura e anticipa la Costa smeralda. I pesci che si trovano sono sempre gli stessi ma dall’Isola rossa a Costa paradiso si incontrano orate grosse e saraghi grossi che mangiano in parete, quindi da insidiare all’agguato.
Come hai iniziato? Avrò avuto più o meno 8 anni e con mio padre frugavo in mezzo agli scogli alla ricerca di vita, di pinne in movimento. La speranza era sempre la cattura ma ero affascinato dall’ambiente, dai pesci che già di per sé mi appagavano. Ma soprattutto aspettavo che mio padre mi indicasse situazioni interessanti, emozionanti, per me, solo alla vista. Ancora giovanissimo feci la mia prima cattura, un sarago fasciato, all’agguato. Una storia molto concitata. Io non avevo una grande acquaticità così il sarago tentò la fuga prendendomi di sorpresa. Ciò nonostante, con gran fortuna, riuscì a colpirlo con un tiro difficilissimo. Mio padre era sempre davanti a me. Studiava il paesaggio, per lo più bassofondo fino a due metri di colonna, non di più. E quando i fatti si rendevano interessanti, allora mi suggeriva il metodo, l’approccio più corretto per non spaventare i pesci. A 16 anni ho dovuto confrontarmi con i soliti amici, patendo un po’ per il fatto che loro avevano libera uscita in ogni momento mentre io potevo andare a pesca, col mio arbalete monogomma Cressi Comanche da 100 e thaitiana da 6, una sola volta alla settimana, il sabato. E se uscivo il venerdì, il sabato mi toccava di corvé.
Un progresso? Sì, due. Devo ringraziare Alessandro Belluzzi, allora barcaiolo di Marco Bardi. Mi ha insegnato i basilari per l’apnea. Avevo 13 anni e mi ha fatto scendere fino a 14 metri. Dopo 4 anni ho fatto il corso Fipsas, di apnea, con Tino Carta, a Sassari. Un’esperienza seria che mi ha portato a -25 metri. Ciò però, lo dico per il popolo, non vuol dire essere un 25metrista, semplicemente avere le potenziali- tà per scendere a quelle profondità, e solo col tempo e la pratica... E dopo ancora, … pescare a 25 metri.
Ricordi una cattura importante? Sì, la mia prima orata, a Costa paradiso, di fronte al porticciolo dove, nella bella stagione, partono i gommoni per andare in spiaggia. Nuotavo in superficie su un fondale che non superava i 12 metri. Mentre aggiravo uno scoglio scorgo, sul fondo, due orate che nuotavano intorno a una pietra isolata. Quindi torno, al riparo dello scoglio, per non farmi vedere o sentire dai due pesci. Prendo fiato e mi immergo per un aspetto a circa 7-8 metri dalla pietra dove danzavano le orate. Purtroppo i pesci non c’erano più, ma… Dopo una trentina di secondi, nel blu scorgo un chiarore in avvicinamento. Erano le labbra bianche di una delle orate. A un certo punto si dispone di traverso, una posizione perfetta per lo sparo. Ma era lontana, rischiavo di perderla. Così azzardo una fucilata. Centrata in pieno. Comunque l’ho raggiunta in un millisecondo, l’ho abbracciata stretta e così l’ho portata a terra, risalendo sugli scogli ancora calzato. C’era mio padre ad attendermi e io ero felicissimo e orgoglioso della mia preda.
“A 16 anni ho dovuto confrontarmi con i soliti amici, patendo un po’ per il fatto che loro avevano libera uscita in ogni momento mentre io potevo andare a pesca, una sola volta alla settimana, il sabato.”.
C’è stata una svolta? Sì, a 25 anni. Lavoravo e possedevo un’automobile, quindi potevo entrare in mare 2 o 3 volte la settimana, sempre all’agguato. Era abbastanza per farmi capire e riflettere. Ho assistito a un grosso spopolamento del mare e un contempora- neo grosso aumento di pescasub. Tanto che i pesci, nelle nostre ore, non uscivano. Poi, a 33 anni, ho iniziato a praticare la pesca in tana, ma non è stato facile. Pur avendo a disposizione un fucile da 40 centimetri con la fiocina a 5 punte, prendevo pochi pesci. Per fortuna, mio cugino, compagno di pesca di Sergio Oggiano, ha capito la mia situazione e mi ha consigliato, forse imposto, di scendere dal gommone e sparare. Così ho fatto. Ho cercato i pesci e sparato. Ho sbagliato, spesso, ma alla fine ho capito che il suggerimento era una pura verità. È stata un’altra svolta! Oggi, quindi, consultando il meteo decido che tecnica utilizzare, per lo meno mi predispongo mentalmente.
Il meteo è importante? Fondamentale! Ad esempio, dopo due giorni di bonaccia è inutile pescare all’agguato, il pesce non circola e alla fine non prendi niente. Castelsardo? Ci vuole la scaduta di Maestrale oppure di Grecale montante. Quando c’è Libeccio non vado alla Ciaccia. Il Grecale è ottimo per Costa paradiso.
Come ti definisci? Anche se adesso pesco anche in tana, sono sempre un’agguatista: i pesci sono più grandi.
Un ricordo emozionante? Quando ho preso la leccia di 15 chili. Ero a Punta negra, Fertilia. Mare da SW quindi agitato. All’alba, dopo un’ora di macchina da solo, ero in acqua. Dopo un primo tratto sabbioso incontro una punta rocciosa con una schiumetta promettente. Mi appoggio in mezzo alla risacca e aspetto 2 o forse più minuti. Vedo in lontananza una sagoma enorme e pensando a un grosso tonno mi rammarico perché non avrei potuto catturarlo. “Perché non mi capita una leccia o un pescione da poter sparare?”. Ma, quando si avvicina riconosco che è una leccia. Mi do una spinta per mettermi in posizione prima che sfilasse e la centro in pieno, subito dopo le branchie. È partita a razzo, svuotando il mulinello. Mi ha fatto fare parecchia strada, col patema d’animo di perderla. Finalmente cede e mi avvicino. Gli infilo il braccio nelle branchie, dà un ultimo scatto, ma muore. Al ritorno, con una mormora e un’orata in più, trovo un pescatore che ha sentito il mio gioire per la cattura in mezzo al mare. Alle 10,30 del mattino ero già a casa da mio padre, in campagna che pensava non avessi pescato per il mio precoce rientro.
L’agonismo? Sono tesserato con il Corallo sub Alghero ma il mio cuore pende verso l’agguato e quindi i miei risultati in tana, al razzolo non sono da campione.
Un tuo riferimento? Beh, senz’altro Renzo Mazzarri. Era già l’idolo di mio padre, felice possessore dell’Apache 90 con cui Mazzarri nel 1989, a S. Teodoro, vinse i mondiali.
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