E' vero che l'elettronica ha rivoluzionato le abitudini e il modo di pescare, ma la conoscenza delle vecchie tradizioni è un bagaglio culturale che può sempre servire in barca. Si sa due ancore sono meglio di una.
Quanto iniziai con la pesca dalla barca, non era comune trovare elettronica di bordo sui natanti da pesca. Negli anni ‘80, infatti, sul nostro gommone Bat Nordic 66, non ne disponevamo. Le sessioni di pesca, si basavano sull’esperienza e sulle conoscenze degli spot che si tramandavano segretamente e con gelosia da padre in figlio. Le carte nautiche cartacee non erano minimamente definite in termini di batimetriche, secche, punti di interesse o cadute. Riportavano solo le principali batimetriche del sottocosta: una singola linea intorno ai 20-30 metri, per poi passare a un’altra batimetrica intorno ai 50-70 metri e un’altra sopra i 100 metri. Gli spot più interessanti, erano evidenziati con segni a matita, sulle mitiche carte nautiche IIM, croci, cerchi, e commenti indecifrabili per associare mire a terra e catture effettuate. Ricordo che, durante le lunghissime e soleggiate giornate, dopo aver trainato le aguglie per ore e ore senza avvertire alcun segnale, il momento che riaccendeva in me l’adrenalina e la determinazione di poter svoltare la noiosa giornata con una cattura da sogno, era quando Alberto e mio padre si guardavano negli occhi e con un semplice e rapido gesto della testa decidevano di cambiare spot. Alberto, con la sua immancabile Marlboro rossa mantenuta tra le labbra, rallentava l’andatura del fedelissimo ausiliario due tempi 10 hp Johnson, con mezzo giro di manetta, poi dopo aver aperto lo sportellino in legno di teak della consolle, prendeva il binocolo, quattro sassi piatti, raccolti dall’arenile del Passariello a Pisciotta e la preziosissima carta nautica. Estraeva, con molta cura, la carta piegata e contenuta nella pellicola di plastica e la apriva sulla seduta di poppa bloccando i quattro spigoli estremi con i sassi per evitare che volasse al vento. Dopo una breve consultazione con mio padre decidevano lo spot da raggiungere. Il passo successivo era prendere il binocolo per allineare le mire fissate da torrette di avvistamento, campanili, palazzine isolate, antenne, rare ciminiere, avvallamenti di colline e qualsiasi punto caratteristico della costa che fosse ben visibile da mare. Il bravo pescatore sceglieva le mire a terra in maniera tale che, allineandole tra loro, il margine di errore fosse prossimo allo zero. Dopo l’ultimo controllo col binocolo sui quattro punti cardinali, Alberto, sempre con la sua fedelissima Marlboro rossa tra le labbra, pronunciava il tanto atteso “ci siamo”.
Il pescatore oltre a possedere elevata padronanza della tecnica di pesca e della conoscenza degli spot, tale da interpretare la presenza e gli spostamenti dei pesci nelle differenti situazioni e stagioni, doveva prima di tutto essere un esperto marinaio in modo da manovrare alla perfezione la barca per tornare precisamente su un punto e stare in pesca conoscendo le sole mire prese a terra. Quando si usciva in barca per cercare nuovi spot di pesca, di solito si approfittava dell’andatura di traina o del bolentino a scarroccio, con terminali di ricerca, per verificare se ci fosse vita in quel tratto di costa. Inoltre, a scarroccio, si calavano ancore di “ricerca e ispezione”, in modo che si potessero incontrare ostacoli come pietre o relitti tra le distese di fango e sabbia. Una volta avuta un’allamata su questi spot d’ispezione, veniva il bello. Infatti mentre si recuperava la cattura rigorosamente con lenza a mano, si doveva avere la freddezza di individuare 4 punti cardinali a terra per poi azionare virtualmente “il mark di registrazione a mente” per salvare il punto preciso in testa e segnare, con appunti a matita, sulla carta nautica i riferimenti in modo da poterci tornare nelle successive uscite, sempre senza alcun aiuto tecnologico. La complicazione di ritrovare uno spot qualche giorno dopo era altissima in quanto non sempre le mire a terra era state prese con la massima affidabilità e inoltre succedeva spesso che le condizioni meteo marine impedissero la possibilità di ritornarci sopra con precisione. Bastava una giornata di foschia, nebbia o con nubi basse per inficiare tutta la sessione di pesca che era stata organizzata nei minimi dettagli a partire dall’approvvigionamento delle esche. Ricordo che oltre alla traina col vivo, ad inizio degli anni 1980, con mio padre ed Alberto praticavamo anche il bolentino con lenze rigorosamente a mano. Effettuavamo delle bellissime pescate di cefali cerini, fuori Pietra Salata a Posillipo, e stupende orate di taglia spesso di peso superiori ai 3 kg su alcune pietre isolate fuori all’antico carcere di Procida. Inoltre ci piaceva pescare a prai e pagelli, spesso superiori ai 2 kg di peso, su sassi isolati sul fango intorno alle “50 braccia” sulle scadute di Penta Palummo nel Golfo di Napoli davanti Nisida. Pescavamo con i “rancioni” vivi, come si chiamano a Napoli, ovvero i grossi paguri rossi che i pescatori di Mergellina ci mettevano da parte dopo averli presi nelle nasse e nelle reti.
La maestria di Alberto e mio padre era quella di saper arrivare sulle singole pietre in mezzo al fango, fissando le mire a terra, tra le ciminiere dell’Italsider, un campanile e il carcere di Nisida. Ma l’aspetto ancora più difficile, non era tanto arrivare sul punto giusto ma era riuscirsi ad ancorare precisamente sopra a quelle oasi di vita in mezzo al fango. Infatti nelle giornate con mare e corrente l’ancoraggio diventava ancora più complicato e bastava qualche metro di distanza da quei sassi per compromettere tutta la sessione di pesca. Per ancorarsi si utilizzavano due ancore con cime sottili e vi assicuro che non era un mestiere facile, ma ci voleva un’esperienza e una maestria fuori dal comune. Infatti a quelle profondità, intorno agli 80 metri, era necessario calare la prima ancora tenendo conto della corrente e del giusto bando (alcune centinaia di metri di cima) da filare a mare per garantire la giusta tenuta della stessa e per fare in modo da poter calare la seconda ancora sulla corretta direzione delle pietre isolate. Una volta verificata la tenuta della seconda ancora, ricordo che, iniziavano le fasi più concitate dell’ancoraggio in quanto serviva un grande coordinamento di azioni tra mio padre che recuperava il bando della prima ancora e Alberto che, con movimenti millimetrici stop&go del motore, ci riportava sullo spot tenendo ben tesata la cima della seconda ancora.
Da quei tempi, negli anni 1980, ad oggi la diffusione della tecnologia e della strumentazione elettronica a bordo delle barche da pesca è stata esponenziale, tanto che questi racconti sembrano veramente lontani secoli or sono anche se per me, che scrivo, restano ricordi molto intensi e vivi. Ai tempi di oggi è molto frequente trovare natanti da pesca, nei porti della nostra penisola, con chartplotter combo, con mappe cartografiche dettagliate, moduli ecoscandaglio da almeno 12 pollici in Ultra HD con sonde chirp molto performanti, autopiloti e motori elettrici di prua. Con la strumentazione di oggi è diventato semplicissimo registrare sullo schermo del cartografico un punto di interesse e avere la possibilità di tornarci perfettamente sopra con errore praticamente nullo. Inoltre con la diffusione di sonde sempre più performanti chirp e “all in one”, è diventato molto semplice individuare spot interessanti, come pietre isolate nel fango con vita, sotto alla nostra imbarcazione oppure anche distanti qualche centinaia di metri. Infatti con sonde aventi anche caratteristiche di lettura laterali all’imbarcazione, è possibile individuare spot nuovi interessanti e distinguere perfettamente pietre isolate in mezzo a distese di fango o sabbia anche a profondità di 100 metri e lontane anche oltre 200 metri dalla barca. Inoltre è possibile scegliere sonde performanti, potentissime, anche fino a 3 kW, con bande di frequenza alte e basse, coni con angolazione differenti, con tecnologia Chirp, con più canali, per poter distinguere correttamente target di pesci dal fondale oppure spingersi a profondità elevate nel bolentino di profondità per cercare pezzogne su batimetriche anche superiori ai 400 metri. Altro grandissimo aiuto per il pescatore moderno è arrivato dal motore elettrico di prua, che consente di effettuare rotte complesse su costoni e cadute a velocità variabile, lentissime, anche in condizioni meteomarine avverse nel silenzio più totale. Immaginatevi in passato come doveva essere complicato individuare uno spot a pezzogne a 300 metri e ancorarsi a quelle profondità, calcolando la risultante della corrente e scarroccio, per cercare di effettuare calate con lenze a mano su pietre lontane dalla costa e ritrovate con mire a terra anche distanti miglia dalla costa.
Quando cambiava la direzione del vento e della corrente, o si alzava il mare, era necessario alzare l’ancora ripetendo le operazioni di ancoraggio, o cambiare lo spot per non inficiare la battuta di pesca e tornare in porto. Oggi con l’ausilio del motore elettrico è diventato un gioco da ragazzi stare fermi all’ancora pescando su uno spot a 450 metri a pezzogne e decidere di spostarsi un metro alla volta, azionando un semplice tasto del joystick, per sondare eventuali pietre 5 metri più a destra o indietro che sono segnalate sulla nostra cartografia dettagliatissima. Infatti, con l’attuale tecnologia è possibile costruirsi mappe personalizzate ad altissimo dettaglio, con le funzionalità QuickDraw, con registrazioni reali dei salti batimetrici misurati dal trasduttore e ricostruzione della visualizzazione in 2D della cartografia reale di quel singolo spot. Tutto questo è veramente uno scenario da fantascienza se pensate a come si andava a pesca quando ho iniziato io negli anni 1980. Anche se i mari di oggi sono più poveri di pesci rispetto al passato, si deve anche ammettere che l’introduzione della tecnologia nel corso degli ultimi due decenni, ha sicuramente fornito al pescatore, che si avvicina da pochissimo alla pesca, un grandissimo aiuto nell’aumentare la consapevolezza e la probabilità di cattura in tempi molto rapidi, di fatto, quasi azzerando il periodo di prove per l’approfondimento e l’apprendimento della tecnica e degli spot di pesca. In alcune giornate è necessario un uso consapevole e leale della tecnologia, in modo da rispettare le regole e i limiti di pescato in quanto, con l’utilizzo della moderna strumentazione di bordo, è possibile effettuare vere e proprie mattanze una volta individuato il branco di predatori sotto la nostra imbarcazione specialmente nei periodi di montone. Dall’altro lato, come in tutti gli ambiti del progresso scientifico anche nella pesca, si è purtroppo perso un po' l’aspetto romantico e sportivo di quegli anni passati ,quando si usciva in barca e si era costretti a doversi cercare nuovi spot di pesca per poi premere virtualmente il mark “registra a mente” per poterli salvare e ritrovare con mire a terra in altre uscite senza alcun aiuto tecnologico. Nei prossimi articoli affronteremo tutte le tematiche legate all’elettronica di bordo e in particolare effettueremo degli approfondimenti sul funzionamento dell’ecoscandaglio, dei chartplotter cartografici e dei motori elettrici di prua che ci offrono un supporto ed un aiuto enorme se correttamente utilizzati nelle nostre uscite di pesca.
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