Orate & Cozze

Prevalentemente notturna, la pesca all'orata negli allevamenti di cozze mette d'accordo, sportivi e professionisti. Infatti, per i primi l'orata è un target ambito, per i secondi invece una maledizione che può recare gravi danni alle coltivazioni.

L’orata è considerata sin dai tempi antichi una delle prede più ambite dei nostri mari e di tutte le coste del Mar Mediterraneo. Il colore di questo pesce è prevalentemente argentato ma deve il suo nome (Sparus aurata) alla caratteristica banda frontale color oro posizionata proprio tra i due occhi. Dalla primavera alla fine dell’estate si stabilisce principalmente in acque basse, su fondali misti e sabbiosi, spesso al di sotto dei 25 metri. Solitamente nelle prossimità dei porti, lungo le scogliere, presso le foci dei fiumi e nelle lagune, mentre in autunno torna in acque più profonde, dove rimane tutto l’inverno per il famoso “montone”, formando folti banchi per fronteggiare le basse temperature verso le quali appare particolarmente sensibile. L’orata, sparide per antonomasia, ha una potentissima dentatura che utilizza per rompere e triturare le prede che entrano nel suo raggio d’azione. Si nutre razzolando sul fondo alla ricerca principalmente di crostacei (paguri, granchi…) vermi, ricci e molluschi, ma può attaccare anche pesci e cefalopodi, specialmente quando le dimensioni della regina diventano significative, con un peso che spesso può superare anche i 6 kg. Le principali tecniche di pesca per insidiare l’orata dalla barca sono il bolentino e il light drifting.

Durante il periodo del montone, le orate sono molto più voraci e meno smaliziate, a causa delle funzioni riproduttive. Non esitano, infatti, a sbranare anche un bel calamaro o una bella seppia trainata sul fondo a bassa velocità (meno di un nodo). In questi casi, però, si consiglia di rilasciare la preda visto che,  con molta probabilità, si tratta di un riproduttore pieno di uova. Il periodo migliore per insidiare l’orata nel sottocosta è, la primavera e l’estate. Possiamo trovarla anche intorno ai 20 metri, in prossimità dei porti è in particolare, visto che è particolarmente ghiotta di cozze, all’interno degli allevamenti di mitili, dove è possibile ottenere l’autorizzazione per la pesca. Ma, benché gli allevamenti siano un ambiente ideale per numerose specie, attirate dalla ricca catena alimentare attorno ai filari, non sempre la cattura della regina è garantita, a meno che, prima, non si affini bene la tecnica.

L'autore è un estimatore della pesca all'orata che cattura sia nei filari degli allevamenti ma anche sulle secche trainando a meno di un nodo una seppia o un calamaro vivo.
Galleggianti che sostengono i filari della cozze in un allevamento del sud Italia.

Pesca nei filari - L’ancoraggio in due punti, a prua e poppa, è una manovra indispensabile per pescare negli allevamenti. La barca non si deve spostare e l’esca deve stare perfettamente immobile sul fondo, soggetta solo a forze naturali: ogni movimento artificiale, indotto, avrebbe l’effetto di insospettire il pinnuto, determinando il suo allontanamento. Detto che, come da regola, il miglior brumeggio è della stessa natura della pastura locale, va da sé usare le cozze, meglio ancora se le stesse coltivate, calate aperte e alternate ad altre rotte con lo schiaccianoci, e inserite eventualmente in un pasturatore, se le batimetriche dovessero essere superiori ai 25 metri e in presenza di correnti sostenute. L’orata è una delle prede più combattive del Mediterraneo ed è anche molto attenta e sospettosa nell’approccio all’esca. Pertanto dobbiamo affrontarla con una canna che da un lato sia molto sensibile in vetta, ma che abbia un fusto robusto che consenta all’angler di girare la testa allo sparide per evitare fughe su ostacoli, come ad esempio i filari dell’impianto di mitili, perché è sicuro che una volta allamato, punterà dritto per rompere quel maledetto filo che lo trattiene. La scelta, quindi, sarà sui modelli da bolentino, di lunghezza variabile da 240 a 270 cm, in casi particolari al massimo 3 metri. Quando l’orata attacca la cozza con le sue potenti fauci, avvertiremo due piccolissimi e velocissimi sussulti con una vibrazione istantanea del vettino, spesso dell’ampiezza di appena un paio di centimetri. Perciò è altamente consigliato disporre di una varietà di vette estremamente sensibili alla più piccola tocca, in modo da ferrare con immediatezza e evitare di tirare su l’amo bello ripulito e lucido, mentre l’orata, tutta serena e satolla, scappa via sgranocchiando la succulenta cozza tra le fauci.

Complesso pescante - L’optimum è una dotazione di almeno tre differenti vettini con range di 0-10 g, 10-20 g e 20-30 g per pescare rispettivamente sotto i 20 metri, fino ai 30 metri e oltre i 30 metri di fondale, da scegliere anche in base alla zavorra e alle condizioni di corrente. Alla canna accoppieremo un buon mulinello a tamburo fisso, della misura 3000-4000, con una buona frizione fluida e un drag non troppo basso. Sarà imbobinato, per ora-te fino al chilo e mezzo, con nylon dello 0,20-25 e terminale in fluorocarbon da 0,22-26; per quelle più pesanti: nylon dello 0,28-30 e fluorocarbon da 0,28-32, il tutto sempre di elevata qualità e minima elasticità, in modo da assicurare al complesso pescante la massima sensibilità. Gli ami, saranno ancora di massima qualità, rigorosamente a becco d’aquila per bucare, eventualmente, il durissimo palato dell’orata. Meglio usare misure non troppo piccole (6-4 o più) in base della grandezza della preda da insidiare. Per appesantire l’insidia e farla affondare si utilizzano delle piccolissime torpille di piombo scorrevoli da 2 a 15 grammi al massimo, in base alla condizione di fondale e corrente in gioco, posizionate a circa 30-50 cm dall’esca e bloccate con un piccolissimo stopper. In alternativa, per ingannare la regina diffidente, si può utilizzare anche una piccola conchiglia vuota nella quale colare del piombo fuso e un piccolo anellino in modo che la zavorra abbia una sembianza naturale in sintonia con l’ecosistema. In altri casi, si può adottare il terminale “in tandem” composto da due spezzoni di 10 cm di fluoro legati in modo da avere un doppio terminale finale e poter innescare due esche differenti, per esempio cozza e granchietto, calate insieme contemporaneamente.

L'amo infisso sul labbro superiore fa pensare che l'esca sia stata assaggiata e forse soppesata.