Nella Schiuma Girelle o Microsfere?
Fra le tante declinazioni della pesca dalla spiaggia, il surfcasting pesante è sicuramente quella che preferisco e amo praticare più di tutte. Per surfcasting pesante intendo la pesca con mare molto mosso, dove c'è bisogno di utilizzare grosse zavorre, pesanti appunto. La teoria, in breve, è molto semplice e suona all'incirca così: le grosse onde smuovono la sabbia del fondale rilasciando in sospensione vermetti e piccoli crostacei; i pesci istintivamente si buttano su tutto questo ben di Dio che la mareggiata mette loro a disposizione; noi lanciamo le nostre esche proprio li, dove speriamo di intercettare un grosso sarago affamato, un'orata ingorda e una spigola in caccia. Sembrerebbe a prima vista tutto molto semplice. Di fatto, non ci sarebbe molto da aggiungere: giusto qualche nozione su come e dove cercare le onde, scegliere se lanciare nel canalone, nella schiuma o a ridosso del frangente, applicare una buona tecnica di lancio e conoscere i calamenti più adeguati a questa tecnica di pesca, prettamente invernale. Su questi aspetti sono stati scritti libri e molti articoli, anche ospitati in questo giornale. Personalmente, in queste pagine, mi vorrei soffermare su di un particolare che reputo importante e degno di essere studiato: qual è il sistema migliore per collegare il bracciolo alla lenza madre? È preferibile usare grosse girelle “a tre vie”, piccole girelle, sganci rapidi o tecnosfere? Il dubbio sorge ogni qual volta, recuperando l'esca, ci troviamo a dover sbrogliare matasse intricate, nelle quali la lenza del bracciolo si attorciglia al trave, a causa della turbolenza delle onde e dell'azione delle correnti e delle alghe. Esiste un modo per collegare i braccioli al trave in modo che le torsioni vengano completamente scaricate senza che la lenza si incasini irrimediabilmente? Forse un metodo sicuro, definitivo, non esiste ancora, ma in commercio si trovano tante soluzioni davvero efficaci.
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