Mistico nel Blu

Mistico nel Blu

Il mondo subacqueo può essere definito come una dimensione a se stante, completamente diversa da quella che quotidianamente travolge tutti noi e che invece, nella maggior parte dei casi, rappresenta un rifugio, una pausa antistress, un mondo migliore. Ma è solo la minima parte della popolazione che si immerge. Un volta solo per pescare, oggi anche senza fucile, per esplorare e scoprire una realtà fatta di cose nuove di colori nuovi, forme nuove e sensazioni diverse. Probabilmente, le esperienze di un passatempo, anche sportivo se pensiamo alle performance di Umberto Pelizzari, tan-to per fare un nome noto a tutti, ma anche lo sdoganamento delle “bombole”, oggi vietatissime nelle pesca subacquea, ma indispensabili per le immersioni con autorespiratore, hanno contribuito, anche nella caccia subacquea, alla ricerca di confini più lontani, più profondi. E, fortunatamente, questa tendenza, questa esigenza, si è sviluppata pari passo con l’attività didattica, cresciuta a più livelli per la consapevolezza e sicurezza del pescatore. Si potrebbe dire, oggi, che la pesca subac- quea è divisa in due branche, la pesca subacquea, quella dove i più bravi riescono a toccare i 30 metri e quella profonda con limiti consentiti solo a pochi.

Pesca profonda
Tralasciando la tradizionale pescasub, quella di massa, fatta di esperti e meno esperti, di assidui praticanti e solo occasionali, ci soffermiamo su quella profonda, affascinante per gli scenari che lascia immaginare e misteriosa per molti. È evidente che certe prestazioni, sono il frutto di anni di pratica e preparazione fisica e psichica. Pescare a 40 metri di profondità e giù di lì, anche 50, 60 e  addirittura 70, per quel che ne sappiamo, è un risultato che per tutti o quasi, passa attraverso un corso di apnea profonda con didattica Apnea Academy, di quel fenomeno già citato. Non che questa sia l’unica possibilità, semplicemente la più praticata dell’universo subacqueo da noi più frequentato.

Cristian Cadelano
Avventurandoci in questo tema, è venuto spontaneo coinvolgere Cristian Cadelano, tra l’altro ospite, in passato, su queste stesse pagine, per un contributo sul tema. Ci tiene, innanzitutto, a mantenere un filo conduttore tra pesca in basso e alto fondale. Le esperienze maturate in acqua bassa - dice Cristian - tornano utilissime anche quando si scende più in profondo. L’acquaticità acquisita, si adatta, si perfeziona, ma quella è!
Ma cos’ha in più la pesca profonda? Nulla, è semplicemente diversa. Come diverso è l’ambiente. Le praterie a posidonia, ad esempio, arrivano a 36-37 metri. Oltre è roccia nuda o con vegetazione bassissima. Il grotto, apparentemente uguale a quello di basso fondo è molto più friabile, non è temprato dalla dinamica litorale, dalle onde. A pensarci bene, forse qualcosa in più ce l’ha. I pesci, sono di più e più grossi. Immergersi in un ambiente incontaminato, dove con molta probabilità nessuno è sceso prima di te, è magico, quasi ti senti il padrone di quel mondo, di certo un pioniere, uno scopritore. Insomma si entra in un’altra dimensione, mistica per certi versi, utile alla conoscenza del proprio corpo e delle sue potenzialità.

“Immergersi in un ambiente incontaminato, dove con molta probabilità nessuno è sceso prima di te, è magico, quasi ti senti il padrone di quel mondo, di certo un pioniere, uno scopritore.”.


L’allenamento? Di certo i tuffi profondi richiedono una grande preparazione fisica e mentale, utilissimo lo oaga, perché le condizioni sono più spinte. Ci vogliono fucili maneggevoli e molto potenti perché la pressione rallenta il ritorno dell’elastico. Oppure, ad esempio, fare un tuffo a 20 metri, non comporta grandi calcoli e proiezioni, mentre a 40 sì. Se devi cadere in un punto, devi calcolare la velocità della corrente e anticipare la caduta per non sprecare energie e soprattutto essere pronto allo sparo. Inoltre, considerata la veloce e estesa propagazione delle vibrazioni, mi riferisco a quelle emesse dal pescatore subacqueo in discesa, i pesci si rendono conto con largo anticipo di questa presenza scura, rivestita di neoprene, e potrebbero “guadagnare il largo” prima che la situazione diventi pericolosa. I tempi sono un’altra grande differenza tra le due tecniche. Io, d’estate, al massimo della forma, in un’intera uscita a pesca riesco a fare anche 20 tuffi a 40-50 metri, naturalmente con lunghi tempi di recupero. Normalmente inizio dai più impegnativi, che durano 2-2,5 minuti e finisco con i meno profondi. Questo per sicurezza, e per la stessa ragione vado giù senza zavorra. Non indosso la cintura piombata. Mi affondo con un peso mobile di 12 chili, senza pinneggiare perché negativo già da subito (a 40 metri ci sono 5 atmosfere) e nell’ipotetico incidente (sincope), in fase di risalita, essendo positivo, non sarei trascinato sul fondo, e invece riportato in superficie.
E i pesci? I pesci sono gli stessi, solo in numero maggiore e di tglia più grande. Inoltre in profondità è più frequente imbattersi in piccole oasi ricche di tutte le specie. Sono aree molto limitate e distribuite a macchia di leopardo, soprattutto nell’oristanese. De- vo dire che un altro aspetto, per me molto positivo, della pesca profonda è la cernia, intesa come portacolori delle grosse prede, ma di fatto è anche una cattura abbastanza frequente con cui, ormai, ho una certa confidenza.