Mar'e Pagellu
Per anni, “mar’e pagellu”, è stato sinonimo di poste lontane, indefinite, dove l’unica certezza era tirar su pesci per tutta la giornata. La navigazione per arrivare sul punto, senza i servizi delle attuali strumentazioni, sembrava, ogni volta, un’impresa al limite del possibile. Oggi, grazie alle conoscenze e le testimonianze dei display sempre più hi-tech, siamo in grado di ritornare su quei punti e addirittura descrivere minuziosamente i fondali. Quel mar’e pagellu, allora mitico e fonte di innumerevoli racconti, spinti dalle catture di pagelli, saraghi e perfino occhialoni, ingigantiti dalla proverbiale esagerazione del pescatore cagliaritano, altro non è che una fascia più o meno parallela alla costa con profondità variabile tra i 50 e i 100 metri, in parte corrispondente a vecchie linee di costa. Oggi la realtà è diversa. Lo sfruttamento della risorsa ad opera del-la pesca professionale, ha impoverito questa fascia al punto da scoraggiare anche i più incalliti pescatori, attratti viceversa dalle batimetriche immediatamente più profonde. Oggi il nostro nuovo mito, il mar’e pagellu del terzo millennio, complice la reazione di certe specie con buona memoria (ad es. la cernia) che dall’azione umana fugge verso quote più sicure, si è spostato nella fascia di profondità che va dai 100 ai 200 metri. E se ciò rappresenta un grosso problema per la pesca a trai- na, altrettanto non vale per tutte le altre tecniche in verticale, bolentino compreso. Infatti, per queste ultime specialità, l’unica difficoltà è quella di vince- re la corrente con un’accoppiata filo-zavorra/esca perfettamente equilibrata. Il nylon, ad esempio, non ha più appeal.
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