Mare Grosso e Canne...
La canna da surfcasting, nella sua declinazione invernale, deve avere delle ca- ratteristiche che la differenziano di molto da una canna da gara e più precisamente da gara a picchetto. In queste competizioni si pesca con massimo due attrezzi (uno solo, nelle gare federali); sono queste, gare che si svolgono per lo più tra marzo e ottobre, con condizioni di mare quasi calmo; si ha l’esigenza di lanciare molte volte in un arco temporale ristretto (poche ore); le esche utilizzate sono per lo più piccoli vermi come l’arenicola e affini. Niente di più lontano dal surfcasting che ci permette di affrontare le imponenti mareggiate invernali e di inizio primavera. Parliamo di quello che viene chiamato surfcasting pesante, da alcuni considerato addirittura il vero surfcasting. Non entreremo in questa discussione che forse non può avere una risposta univoca. Cerchiamo invece di capire quale sia la canna più adatta a questo periodo, la canna invernale. La cosa migliore e domandarsi cosa vogliamo pescare, dove vogliamo lanciare e con cosa vogliamo pescare.
Cosa, dove e con cosa
In questi mesi invernali le uscite tra amici si alternano con saltuarie gare a campo libero e in ambedue i casi le prede da insidiare sono sostanzialmente spigole, saraghi, orate, più altre specie meno “nobili” ma comunque parte integrante della storia di questa disciplina: gronghi, serra e rombi su tutti. Si tratta di pesci che prediligono l’azione in mare mosso, con acqua torbida e schiuma. La spigola, ad esempio, caccia per lo più in acqua fredda e bassa, favorendo i cambi di luce e le spiagge con foci e acqua torbida. Se poi vogliamo restringere il nostro target ai soli saraghi dobbiamo pensare di amplificare al massimo i fattori sopra citati. I saraghi infatti sono capaci di nuotare in condizioni al limite, con corrente fortissima e mare molto mosso, situazioni che rendono minima l’azione degli altri pesci. Chiarito cosa, vediamo dove cercare queste catture. Lunghe spiagge esposte al vento, meglio se frontale poiché ci permette di scegliere lo spot in modo da evitare il più possibile un grosso nemico, la posidonia. Infatti, se il vento è frontale è più facile che le alghe si accumulino in alcuni punti, rimanendo confinate senza essere trascinate lateralmente per tutta la lunghezza della spiaggia. L’intensità del vento e della conseguente mareggiata detterà la scelta della spiaggia, più o meno bassa. Rimane l’ultimo punto, con quale esca pescare le prede obiettivo dell’inverno. Semplificando e riducendo il discorso all’osso, abbiamo bisogno di esche grosse. Che sia “il vivo” utile per la spigola e predatori affini, o la seppia intera e a strisce, come anche il calamaro o i grossi bibi e i cannolicchi, stiamo comunque considerando delle esche che nella loro presentazione finale saranno molto voluminose e di un certo peso. Ecco, adesso abbiamo le idee abbastanza chiare per scegliere la canna più adatta.
“La zavorra, quasi mai sotto i 150 grammi e l’esca pesante e voluminosa influenzano molto la possibile latitudine di lancio e il comportamento della paratura una volta in acqua!”.
Questione di punte
In passato valeva una regola semplice e molto pratica: mare grosso, esca grossa, canna grossa. Per canna grossa si intendeva un attrezzo con potenza di carico elevata (da 150 a 300 grammi) e con la sezione del fusto molto maggiore rispetto ai “fioretti” utilizzati a mare piatto. Adesso, con i nuovi materiali e lo sviluppo che hanno avuto le produzioni in carbonio, canne con sezioni già sul pedone molto sottili e dal peso di poche centinaia di grammi, hanno una potenza ragguardevole e una capacità di carico impensabile solo dieci anni fa. Più importanza assume il comportamento della canna una volta che l’abbiamo “messa in pesca”. In particolare, è bene soffermarci sul comportamento della punta. Ricapitolando, abbiamo bisogno di lanciare tra le onde e se la distanza dal frangente lo permette, appena oltre questo. La zavorra, quasi mai sotto i 150 grammi e l’esca pesante e voluminosa influenzano molto la possibile latitudine di lancio e il comportamento della paratura una volta in acqua. In bobina si utilizza un filo diretto almeno dello 0,28 o ben oltre visto che le occasioni di insabbiamento e la necessità di recuperare l’esca anche con il pesante fardello di alghe, sconsigliano di usare fili troppo sottili e shock leader conici. I braccioli non superano mai i 50 centimetri di lunghezza e la paratura, massimo a due ami, il metro e mezzo. E tutto questo col vento in faccia. Fatte queste considerazioni è logico scegliere una canna non troppo lunga. Infatti braccioli corti e trave corto permettono un lancio agevole anche con attrezzi appena sopra i 4 metri. Diciamo che possiamo spingerci su 4,20 metri. Con lunghezze maggiori si ha un ingombro superfluo che può farsi sentire negativamente durante il lancio e a parità di valori rendere la canna “morbida”. Ma allora va bene una qualsiasi canna sui 13, 14 piedi e potenza oltre i 150 grammi? No, conta soprattutto come questa rimane in pesca, come minimizza il movimento trasmesso delle onde e della corrente. E qui interviene l’azione della punta, dell’ultimo quinto di canna, il più sottile. Se utilizziamo un attrezzo con la punta troppo rigida (stiamo sempre ragionando a parità di lunghezza e potenza), questa non sarà in grado di assecondare e attutire il movimento trasmesso dalle onde. Inizierà quindi a far lavorare anche le altre sezioni della canna che, quasi a innescare un effetto risonante, amplificheranno il movimento ondulatorio arrivando a far spiombare la paratura che da quel momento sarà negativamente esposta alla libera corrente. Una punta in grado di flettersi in modo più pronunciato, quasi fosse una sezione aggiunta e disarmonica col resto del fusto, faciliterà invece l’assorbimento delle perturbazioni indotte dal mare, con il risultato che l’intero complesso formato da punta della canna, filo, esca e zavorra, si muoveranno in sincrono con le onde, rimanendo pressocché dove noi abbiamo scelto di lanciare. Una canna che “rimane” in pesca per più tempo aumenta la possibilità di vedere qualche tocca nel punto dove abbiamo lanciato. Non ci costringe a cambiare l’esca a ogni recupero perché questa è stata martoriata dalle onde. Non ci costringe a perdere un sacco di tempo con lenze imparruccate e braccioli ingarbugliati, ormai inservibili. Sembra quasi esagerato, ma la semplice azione della punta della canna ha una influenza determinante sui risultati finali di un’intera nottata di pesca. E le notti invernali sono fredde e umide e non vanno sprecate inutilmente ma sfruttate al massimo nel pieno delle nostre possibilità.
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