Marco Secci

Anche Marco, come molti tra noi, che nascono e vivono nei pressi del grande lago azzurro chiamato dai Romani Mare nostrum, oggi Mediterraneo, risponde a un cliché, scontato ma estremamente diffuso: familiari a bagno d’estate nella casa al mare, in questo caso a Villasimius, e parenti con un’ereditata “ars venandi” sopra e sotto il pelo dell’acqua. E siccome Marco, all’età di tre, forse quattro anni, era già emulo di questi adulti, spesso vincitori nel difficile confronto subacqueo e complice un signore che a Santo Stefano spiaggiava dentici e ricciole da paura, non poteva sottrarsi, armato di un minuscolo retino, ad un destino segnato almeno fino all’età dei cambiamenti fisici.
Poi? Poi sono sopraggiunti altri interessi, soprattutto di genere, finché, a 19 anni, studente universitario a Ponte Vittorio, ho ripreso ad andare sott’acqua col fucile. A dir la verità non sono rimasto lontano dal mare per tanto tempo. A 16 anni, infatti, ho frequentato un corso di apnea da Air Sub con i mitici Sergio Cardia e Massimiliano Barteloni. Quindi m’immergevo con mio cugino o con mio babbo che generosamente mi aveva regalato una muta per l’inverno, ma anche coi colleghi dell’università.
Parlaci della pesca. Il 2001 è stato l’anno del mio rientro a tutto campo. Munito di patente, con la vecchia macchina di mamma a disposizione e carico per gli indimenticabili mercoledì sera trascorsi con i colleghi di Air sub apnea team, coi quali mi divertivo a pesca, ho goduto delle ultime giornate di Villasimius, poi interdetta per l’istituzione dell’Area marina protetta di Capo Carbonara. A questo punto ho dovuto allargare l’orizzonte, soprattutto a sud verso Torre delle Stelle e a nord verso Cala Pira.
Quale tecnica praticavi? Mi piaceva l’aspetto e l’agguato. Operavo tra i 10 e i 15 metri alle spese, principalmente, di spigole e muggini, anche con Dario Maccioni, almeno i primi anni nell’Air sub.

Si, uso il kayak sia per l’apnea che per la traina. Un tempo facevo spinning dalla riva e a Torre delle Stelle vedevo spesso delle mangianze che ho pensato di raggiungere col kayak.


Praticavi l’agonismo? Beh…sì. Ho fatto la mia prima selettiva a Porto Pino. Una bella esperienza per tutto, tranne il risultato. Mi andò meglio due anni dopo, con saraghi e tordi nel carniere, sempre a Porto Pino, sempre una selettiva per gli italiani. Arrivai comunque quarto.
Una svolta? Direi quando ho conosciuto Davide Orrù, mio attuale compagno di pesca. Mi ha messo una torcia in mano e mi ha insegnato la pesca a razzolo, a frugare sul fondo, scoprire le tane e sfruttarle con moderazione.
Quindi con l’agonismo avevi chiuso? No, niente affatto. Anzi, nel 2019 è maturata la mia massima espressione sportiva, sono diventato campione sardo. Lo stesso anno, in autunno, partecipai agli italiani di seconda categoria, in Puglia, a Casalabate, in provin- cia di Lecce. È stata una completa debacle. Davide mi accompagnava e mi faceva da barcaiolo. Ha preso la gara sul serio ed è voluto partire con la sua macchina, il suo carrello e il suo gommone. Purtroppo è andato tutto male. La prima giornata è stata annullata per maltempo. Nella seconda, abbastanza povera di pesce, mi sono dovuto accontentare di sue soli pezzi, come del resto un’altra trentina di concorrenti. Una bella esperienza, impegnativa, ricca di contenuti, ma povera di risultati.
Peschi ancora all’aspetto? No, non più. Anche se capita di adattarmi alla situazione, di fatto sono diventato un razzolatore puro.
Le tue quote? Sono operativo fino a 30 metri ma la mia batimetrica favorita è sui 18-20.
Dove peschi? Diciamo che mi sposto col mio Coaster 4,70 motorizzato con un 40 hp o col mio kayak, da Bosa a Arbatax, passando da sud.
Usi il kayak a pesca? Si, uso il kayak sia per l’apnea che per la traina. Un tempo facevo spinning dalla riva e a Torre delle Stelle vedevo spesso delle mangianze che ho pensato di raggiungere col kayak.
Un’avventura? Era inverno. Un week end con Luca Marras. Ci muoviamo la mattina presto, direzione Cala Lunga, Sant’Antioco. Su un fondale di 45 metri circa a meno di un miglio dalla spiaggia, catturo un sugarello col sabiki, che innesco immediatamente. Inverto la rotta e mi dirigo, pedalando, verso una posta segnata sul mio Gps. La mangiata arriva quasi subito ma io aspetto qualche secondo prima di ferrare. Non c’è voluto molto e un bel dentice di 8 chili sale a pagliolo. Soddisfatti, dividiamo la preda in due e rientriamo per il pranzo.
Un pesce importante? Per me il più importante è una cernia di 13 chili pescata a Oristano, zona Capo Mannu. Era un’uscita sociale e razzolavo in 17 metri d’acqua su probabili successioni carbonatiche, grandi pietroni più o meno regolari che formavano aperture e anfratti. Durante una planata scorgo una cernia che si dirigeva verso un’apertura e siccome ero in grado di anticiparla, mi fiondo sulla meta e sparo. La colpisco sulla schiena ma mi rendo conto che la presa non è sicura. Quindi risalgo, mi faccio passare il 75 e la doppio con un colpo da manuale.
Un inconveniente? A Torre delle Stelle nella secca davanti alla spiaggia di Genn’e mari. Il solito deficiente “milanese” senza patente e col gommone in affitto. Io ero sul fondo e sentivo il rumore del gommone che a velocità sostenuta si avvicinava. Guardando in alto ho visto perfettamente lo scafo che centrava in pieno la plancetta e poi si allontanava come se nulla fosse successo.
Quali sono i posti che preferisci? La Sardegna è bella, tutta. Sia in terra che in mare, però, in riferimento alla pesca, ci sono due località che ho frequentato anche da agonista e che ricordo sempre con estremo piacere, entrambe nel versante settentrionale dell’isola e sono Vignola e Castelsardo.