Marco Meledina
Terranoa, terra di pescatori. Favorita dalla natura che ha conservato quasi intatta la fauna ittica, la capitale del nordest, risulta un centro vivace, una fucina di pescatori e apneisti in particolare, come appunto il bravo Marco Meledina
Marco Meledina nasce a Olbia il 2 marzo 1986. È sposato e di mestiere fa il termoidraulico, come il babbo. E come il babbo ha la passione del-la pesca in apnea. Distante dal vivace mondo agonistico al quale la Sardegna ha prestato una buona quantità di atleti, anche ai massimi livelli, risulta più vicino ai social media, ma senza strafare: una presenza discreta, ben bilanciata, in linea, probabilmente, con il suo a-plomb professionale. Il fatto di vivere in una città di mare, favorita, se vogliamo, in senso alieutico, non ha smosso il giovanotto più di tanto, non fino ai sedici anni, età in cui è diventato il proprietario di un arbalete, un T20 da 75 centimetri di Omer col quale ha fatto la gavetta e con cui ammazzava i pesci da Capo Ceraso a Capo Figari. Poca roba, dice lui: “Saraghi e cefali sul basso fondo, sostanzialmente, e qualche altra specie occasionale per fare la zuppa. Sempre in compagnia di mio babbo, spesso col gommone che teneva ormeggiato a Porto Marana, dove Marco Turchi gestisce il negozio di pesca. Oppure, qualche volta, ci spostavamo in motorino, con un amico.”. Così, la storia di Marco finché… finché si sposa. Michela non solo gli dà felicità e sicurezza ma anche il “permesso” di allargarsi con la pesca. Le uscite, infatti, incrementano di numero e così le dimensioni delle prede. Marco è davvero felice, sentimento che condivide ancora col babbo e Mariano Satta, lo stesso, protagonista, su queste pagine, lo scorso mese.
Quindi? Una nuova vita? Beh da questo momento inizio a uscire più spesso mentre la mia crescita in pesca è in forte ascesa. In breve mi stacco dai 10-12 metri abituali e raddoppio le mie quote operative. Passo dal razzolo, che amavo molto, alla pesca in tana, molto più redditizia e soddisfacente.
Il primo pesce importante? Beh, da adulto e maturo… un dentice a Costa Paradiso. Era settembre… ero solo. Parcheggio l’auto e dopo 50 metri tra strada e scogli sono in acqua. Sapevo dove andare e nel frattempo razzolavo. Il tragitto è durato circa un’ora ma finalmente arrivo. Davanti avevo una risalita che dai venti metri tocca i 10 per poi sprofondare di nuovo. Dall’alto scorgo, alla base del lato a terra della risalita, un dentice che nuotava indisturbato. Scivolo verso il fondo e, nel tentativo di anticiparlo e trovarmelo di fronte, aggiro la risalita. Così è stato e appena l’ho avuto a tiro, forzando, un pochino, la gittata del 100 doppia gomma, sparo. Lo colpisco non benissimo, poco oltre la metà, verso la coda. Il pesce schizza verso il fondo ma arrivato giù si calma e si ferma in prossimità di uno spacco. Nel frattempo ri- salgo, liberando il filo del mulinello. Prendo aria e di nuovo giù veloce. Il Dentex era ancora lì, senza più forze. Il resto è tutto in “discesa”. Pesava quasi 4 chili ed è finito al forno, col vermentino, per la gioia dei miei familiari e mia.
“Molte aree le abbiamo abbandonate per via dell’area marina protetta Capo Testa - Punta Falcone, ma il golfo di Olbia è ancora fruibile, da Capo Figari a Capo Ceraso e fortunatamente è ancora pescoso.”.
Una scossa alla routine? Beh, poco tempo dopo il dentice, mi compro un gommone. Un Novamarine 470 usato, spinto da un fuoribordo Evinrude E-tec da 40 hp. Un bel regalo che mi consente di spingermi oltre la forza delle gambe e frugare nelle tane meno accessibili, più tranquille e popolate. Inoltre, sempre a proposito di routine, da circa 5 anni faccio coppia fissa con Flavio Argenti, anche lui con gommone a disposizione.
Dove pescate? Molte aree le abbiamo abbandonate per via dell’area marina protetta Capo Testa – Punta Falcone, ma il golfo di Olbia è ancora fruibile, da Capo Figari a Capo Ceraso e fortunatamente è ancora pescoso. Inoltre, grazie agli allenamenti con Davide Carrera e Antomaso Fresi, posso spingermi anche a 40-45 metri, col piombo mobile, e frequentare poste isolate e inesplorate.
Un’altra cattura? Rimaniamo in tema dentice. L’estate scorsa, ero con Flavio, in gommone, fuori della Marmorata e quindi oltre i confini del parco. Stavamo scandagliando il fondo, sulla sabbia, naturalmente a turno. Finalmente troviamo un agglomerato roccioso con qualche grosso masso di granito. L’intento era quello di frugare sotto questi pietroni, a quota -43 ma, in un’immersione e dopo un breve agguato, scorgo una decina di dentici dai colori molto accesi, pronti a sfilarmi davanti a distanza di sicurezza. Altri invece si avvicinavano circospetti. Quin-di mi appiattisco sul fondo riparato da uno dei massoni di granito. Sparo col mio 80 Fusion SK2 auto costruito e colpisco il più grosso nell’opercolo. Lo sparide parte come un missile, inutilmente. Pesava 6,8 chili, ma non è stato il dentice più grosso. Due anni fa a maggio, nelle splendide acque di Portobello ho messo a segno il mio record, 9 chili tondi tondi.
Il tuo pesce preferito? La cernia di taglia, come quella grossa della foto, pescata qualche mese fa, poco fuori di Conca verde, tra i limiti di quell’imbuto non occupato dall’area marina protetta. Il profondimetro segnava -18 metri. C’era un bello spacco nella roccia e lei stava lì, ferma, era una cernia in risalita, ma non completamente scoperta. Vedevo solo la testa e parte della schiena. Sparo in testa ma non muore. Troppo pericoloso aspettare, c’era il rischio che si liberasse dell’asta, così con l’aiuto di Flavio spariamo ancora. Alla fine è saltata fuori, pesava 24 chili.
Parliamo della corvina. È un pesce elegante che si muove con grazia e lentezza, non si trova mai da sola. È la classica preda 4 stagioni anche se a giugno i banchi sono più folti per la riproduzione. Emette un suono, sgradevole e caratteristico, col quale comu- nica con l’ambiente. Entro in acqua all’isola di Municca, a NW della spiaggia di Rena bianca, a Santa Teresa Gallura. Il fondale digrada rapidamente dai 5-6 metri ai trenta. È granito, con franate, massi e spacchi, uno spettacolo variegato che stimola inevitabilmente il subacqueo. Ho girovagato per circa un’ora finché in una delle risalite trovo una nuvola di corvine al riparo dalla corrente. Imposto un agguato e loro ferme, sempre nello stesso punto. Sparo quella che sembrava la più grossa, mentre le altre, come d’incanto si sono volatilizzate. Questo è un comportamento classico e molto evidente dell’ombrina.
A tavola? Mangio tutto, ma vado matto per il crudo, ovviamente sicuro, abbattuto. La ricciola in questo senso è imbattibile.
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