Maldive. Questo arcipelago di isole, ordinate nell’Oceano Indiano, costituisce un punto di riferimento per molti pescatori che, senza la pretesa di pescare un trofeo record del mondo, vogliono passare una settimana spensierata al mare, magari con la famiglia, in un posto incantato.
L’arcipelago delle Maldive si sviluppa in atolli disposti a diversi gradi di latitudine ed è composto da una disseminazione di isole, isolotti e lingue di sabbia che dal mare profondo sembrano tentare la corsa verso la superficie; qualcuna ce la fa, qualcun’altra si ferma pochi metri o addirittura centimetri sotto il pelo dell’acqua creando un piacere di colori con mille sfumature di blu, azzurro e turchese.
Il viaggio
Partito da Roma Fiumicino, mi sono imbarcato per Malè, la capitale delle Maldive. Da lì, un idrovolante mi ha portato nell’atollo di Raa, a nord. In particolare siamo atterrati sull’isola di Faarufushi, dove sono andato a trovare l’amico Mattia Scarapicchia, per pescare una settimana con lui.
La pesca
Ho avuto occasione diverse volte di pescare in questo scenario, e ogni volta mi sono divertito. Ovviamente, come tutti gli spot ha dei periodi migliori, soprattutto in relazione alle prede che si vogliono insidiare. Tuttavia, l’arcipelago, in generale, offre, più o meno sempre, la possibilità di divertirsi con prede che variano dai rostrati ai tunnidi, passando per i carangidi. Andrei mai alle Maldive, alla ricerca di un grosso giant trevally, un grande yellowfin o un marlin da record? La risposta è no. Alle Maldive andrei, piuttosto, se volessi provare a prendere tutte queste specie in un solo giorno, di taglia comunque considerevole, mentre la mia famiglia è in spiaggia a sorseggiare acqua di cocco sotto una palma. La varietà delle specie presenti si traduce in una miriade di pesche possibili, dalla traina col vivo al vertical jigging, passando per lo spinning pesante.
“Gli spot migliori per le tecniche “sotto costa” sono i famosi “drop off” (cadute), spesso a pochissimi metri dalla riva, dove il reef (barriera corallina) sprofonda a decine e centinaia di metri negli abissi.”.
Ovviamente questo fondale, così particolare e che varia così tanto a distanza di pochi metri, crea zone appetibili anche per la traina d’altura con gli artificiali, che spesso abbiamo praticato nei tragitti e spostamenti da uno spot all’altro, prendendo whaoo, grandi barracuda, red snapper e un solo pesce vela, che purtroppo si è slamato al primo salto. Sulla traina d’altura tuttavia non mi soffermerò molto: personalmente non incentrerei mai una vacanza di pesca alle Maldive sulla traina con artificiali, che può sì, regalare sempre catture gradite e divertenti, soprattutto in quanto a rostrati, ma mai quanto la pesca a jigging e con il vivo. Proprio quei drop off di cui parlavamo prima, in particolare la parte di parete compresa tra i 50 e i 200 m di fondo, sono gli spot ideali per praticare il vertical jigging, sia nella versione heavy, con lunghi jig metallici, sia nella versione slow con blatte. Con grande sorpresa, ma senza stupirci più di tanto, abbiamo avuto diversi attacchi e catture di cernie sui calamari siliconici che, messi in valigia un po’ per gioco, si sono rivelati efficaci anche in Oceano Indiano, prima che i barracuda se li portassero via. Le cernie sono molto presenti e di specie molto varie (di cui sinceramente non conosco quasi nessun nome) ed è stata, forse, la preda più frequente soprattutto quando pescavamo a jigging. La loro taglia sembra aumentare man mano che aumenta la profondità a cui caliamo le nostre esche. La prima sera di pesca infatti su un fondale di 200 m, con un jig molto pesante, da 450 g, siamo riusciti a prendere una bellissima cernia, simile alla nostra canina, di ben 42 chili. La luna piena e la prima pescata in notturna, hanno reso speciale l’inizio della settimana di pesca, dandoci la carica per affrontare le sveglie presto e il caldo afoso dei giorni successivi.
Aprile
La pesca al tropico in generale, ma nello specifico alle Maldive nel mese di aprile è tutt’altro che semplice, se parliamo di stress fisico: il caldo e l’assenza di vento, sommato al movimento muscolare per jiggare esche quasi sempre pesanti e grandi ad alte profondità, rende questa pesca un vero e proprio sport. Il consiglio che mi sento di dare alle persone interessate a intraprendere un viaggio al tropico è di portare con se attrezzatura al limite del leggero (che non significa poco potente), per maneggiarla facilmente sotto il sole accusando, per quanto possibile, meno fatica. Molti pescatori provano divertimento e soddisfazione nell’allamare e catturare squali di qualsiasi specie. Io, ahimè, non ci trovo nulla di sportivo o tecnico nel pescare uno squalo, indipendentemente dalla taglia, dalla specie e da quanto tira. In questo senso il karma ha voluto punirmi e dall’Atlantico all’Indiano, dove vado vado, trovo grandi branchi di squali ad aspettarmi. Anche qui alle Maldive, di media 1 jig ogni 3, finiva in bocca a uno squalo, pinna bianca per lo più, e un pesce su 3, mentre li recuperavamo, venivano mozzati e decapitati da famelici squali di barriera, piccoli ma molto feroci. Utilizzare cavetti e assist in acciaio ovviava solo in parte al problema squali, che a quel punto sì, non rompono più il filo, ma poi vanno tirati sotto bordo e liberati dagli ami. La presenza di piccoli tunnidi in superficie, quali alletterati e tombarelli, rende molto semplice quasi tutto l’anno la cattura di esca, qualora voleste provare la traina col vivo, tecnica che a me decisamente incuriosiva più di tutte le altre, ma che abbiamo praticato poco in quanto il periodo migliore per farla è quella del nostro autunno. Sbattendoci un po’ la testa siamo comunque riusciti a catturare un bel Dogtooth tuna (tonno dente di cane), preda tipica di queste acque, rinomato predatore, la cui combattività lo ha reso famoso in tutto il mondo, tanto da far credere di lui che se mai arrivasse a 300 kg di peso, sarebbe imprendibile con la canna. L’ultimo giorno di pesca dopo ore di traina col vivo, un bel marlin nero stimato sui 150 kg , taglia piccola per questa specie, ma decisamente sufficiente per far battere il cuore al più esigente dei pescatori, è salito a galla a mangiare il nostro alletterato vivo, per poi scansarlo due volte e non tornare mai più, regalandomi un’ultima emozione prima della partenza. Tornerò senza dubbio a trovare Mattia in futuro, per approfondire la traina col vivo soprattutto, tecnica poco praticata dai charter di pesca locali ma nella quale vedo enorme potenziale soprattutto per selezionare la taglia della preda.
Commenti ()