Nella traina col vivo, il terminale, quello sul quale leghiamo gli ami, viene realizzato in base alla grandezza e dinamicità dell’esca e in base alla preda target, e può essere sia la classica montatura da innesco della traina col vivo, oppure semplicemente monoamo.
Nella traina col vivo, il terminale, cioè l’ultimo spezzone di nylon, quello che “entra” in contatto con la preda, quello sul quale leghiamo gli ami, viene realizzato in base alla grandezza e dinamicità dell’esca e in base alla preda target, e può essere sia la classica montatura da innesco della traina col vivo, quin-di con due ami, uno trainante e uno ferrante, oppure semplicemente monoamo. È noto che la montatura con un solo amo consenta una libertà di movimenti e una naturalezza dell’esca superiore alla più ricca e articolata due ami. Infatti, senza gli im- pedimenti di un legame posteriore, il pesciolino, è libero di nuotare e scattare quasi come fosse senza nessun vincolo. La montatura monoamo è sicuramente consigliata per esche piccole non troppo veloci, come, per esempio, sciarrani, menole, boghe o anthias. Queste vengono assicurate al terminale con il nodo catalina, molto efficace e semplice, proposto addirittura in più varianti.
L’alternativa è il classico nose ring metallico, un anello aperto che trapassa le narici, come l’elastico del catalina, e si richiude come una spilla da balia. In ogni caso, per avere stretto controllo delle esche, è utile un preterminale molto più corto del solito, cinque metri circa, con un finale di due metri al massimo, di diametro compatibile con l’esca e la probabile preda. Ovviamente, per evitare di irrigidire e vincolare troppo il nuoto dell’esca, più piccoli sono i pesci, più sottile sarà il terminale. La base potrebbe essere un buon fluorocarbon con diametro variabile tra 0,47 e 0,52 millimetri al massimo, con eventuale rinforzo degli ultimi 10 centimetri, con cordino da almeno 150 libbre. In realtà il terminale monoamo può essere utilizzato anche per esche più grandi e veloci, come sugarelli, alacce, lanzardi e sgombri. Ma l’obiettivo deve essere un predatore che è solito sferrare l’attacco e ingoiare l’esca dalla testa, come fanno, ad esempio la cernia e la ricciola. In ogni caso l’amo singolo può essere, in base alla nostra esperienza, sia un circle che un J hook beak (dritto ma con la punta a becco d’aquila). Nel caso del dentici, qualora utilizzassimo esche di lunghezza superiore ai 10 centimetri, è spesso consigliabile inserire anche un secondo amo nella parte posteriore dell’animale, preferibilmente sul dorso tra la coda e la pinna dorsale. Infatti, co-me riportato nell’articolo dello scorso mese, il dentice è solito sferrare l’attacco nella parte posteriore della preda, in modo da tramortirla prima di ingoiarla. Pertanto un amo posizionato sul dorso dell’esca nella parte posteriore, aumenta certamente la probabilità di una ferrata sicura e infine della cattura. In alcuni casi, nei due ami, si può praticare l’innesco in tandem, con due piccole esche, così da creare forti vibrazioni, molto attrattive per i predatori, i quali non si lasceranno sfuggire una coppia di pescetti in difficoltà sul fondo.
La preda - Resta sottinteso che la preda più ambita da insidiare con questa tecnica di pesca è lo sparide più ricercato dagli angler della nostra penisola, predatore accanito delle nostre secche e cappelli, ovvero il dentice (Dentex dentex). Ma spesso è anche possibile effettuare catture di bellissime cernie le quali prediligono esche belle vitali che scarrocciano nei dintorni della tana maestra. Non è raro imbattersi in qualche bella cernia bruna nei casi in cui dovessimo calare un grosso sgombro su un bella caduta repentina del fondale. Non mancheranno catture occasionali come ad esempio pesci sanpietro o qualche bel cappone rosso, i quali, spesso, non disdegnano un bel pesciolino fermo sul fondo su batimetriche sotto i 60 metri. Ovviamente qualora dovessimo avere la fortuna di avere lo strike della cernia visti i diametri dei terminali in gioco, sarà estremamente importante forzare il pesce per cercare di non farlo intanare e di evitare rotture del fluorocarbon nelle rocce. In questi casi bisogna essere sempre estremamente concentrati sulla vetta della canna e interpretare alla perfezione qualsiasi movi- mento del cimino in modo da poter ferrare subito e cercare di staccare il predatore dal fondo per poi godersi l’emozionante combattimento. Volutamente non abbiamo sfiorato l’argomento ricciola che sarà oggetto di un articolo dedicato.
Catalina - Per eseguire il nodo catalina, il re dei nodi da innesco per la traina col vivo, occorrono solo un gancio, come un ago da velaio con la cruna aperta da un lato, o come l’attrezzo nella foto sopra, dotato anche di una rudimentale presa; un elastico lungo circa 4 centimetri e un amo circle. La cruna aperta o il gancio di un ferro ritorto, è una condizione indispensabile, una volta trapassate le narici, per invitare l’elastico a passare da parte a parte sempre attreverso le narici. Quindi le due bocche di lupo risultanti, si inseriscono nell’amo il quale ruota per 4 giri circa e poi chiude il nodo passando sotto l’elastico iniziando dal muso verso la coda. Qualcuno usa un cordino. Altri intrecciano l’elastico prima di infilarlo nell’amo. Sono varianti soggettive.
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