Oriente e Occidente sono differenti per cultura e filosofia, ma in afte di pesca, come spesso succede, siamo noi a imparare e il Sol Levante insegna.
Oggi, il pescatore moderno, ha molta più consapevolezza, rispetto al passato, di quello che succede sott’acqua in una normale battuta di pesca. Infatti, la strumentazione di bordo è in grado di restituire riscontri reali attraverso immagini sempre più definite, sia essa un ecoscandaglio oppure una telecamera subacquea. Di fatto la tecnologia è la chiave per avere risposte alle mille domande che si pone un pescatore, ad esempio: perché vedo sul display un grosso predatore e questo non attacca il mio calamaro perfettamente trainato alla giusta velocità e scrupolosamente innescato? Con una visione globale risulta più semplice scegliere la strategia di pesca e adottare gli accorgimenti necessari in quel preciso momento. Per esempio correggere la lunghezza e/o il diametro del terminale; adottare una zavorra di peso e/o foggia diversa; variare l’andatura per velocità e/o direzione; praticare o meno stop and go e/o passaggi a favore o contro corrente; muoversi esclusivamente a scarroccio; adottare una tipologia e/o grandezza dell’amo. Ma, per migliorare i risultati è fondamentale anche arricchire le competenze tecniche con conoscenze di altra natura, come quelle biologiche e meteo marine. Ciò nonostante, così come è capitato a tutti, succederà che, dopo aver segnato sul nostro diario di bordo tutte le catture effettuate nei vari spot e le relative condizioni meteo-marine, tornando sullo stesso spot con lo stesso assetto di pesca e identiche condizioni ambientali, il risultato non sia lo stesso. La morale è che il mare esprime un input, più input, e il pescatore deve coglierli e analizzarli per apportare continui miglioramenti all’impostazione di pesca. Così come insegna il “kaizen” nipponico, ossia il metodo industriale e non solo, che nel periodo post bellico e fino all’ascesa dell’inarrestabile Cina, ha portato al successo l’economia del Sol Levante, basandosi appunto sul continuo miglioramento dell’efficienza produttiva. Mi è capitato di osservare azioni di pesca riprese dalla telecamera subacquea, dove grossi dentici di 5-6 chili disdegnavano un grosso calamaro, ben innescato e vitalissimo. Addirittura allontanandosi, con fare indispettito, per due spruzzate di nero. Insomma, per venire a capo di queste, per ora, inspiegabili situazioni, il metodo migliore è quello di proporsi diversamente, iniziando dal cambio del terminale, dell’esca, dell’andatura (anche zig zag) o di quello che, in quel momento, ci pare non sia l’optimum. L’obiettivo non è facilmente raggiungibile, ma la tecnologia, oggi, ci dà una grossa mano, indispensabile per il kaizen de’ noantri.
Esca - Ogni volta che catturo un pesce ho l’abitudine di eviscerarlo e controllare per bene il contenuto della sacca stomacale per verificare le specie alla base della dieta dei predatori. Non è un’operazione piacevole ma è molto utile, per registrare cos’ha mangiato il dentice o la cernia, in quello spot e in quel periodo. Ho trovato perchie, sciarrani, menole, boghe, tanutelle, donzelle, castagnole nere, castagnole rosse (anthias), pescetti che difficilmente avrei immaginato di innescare. Su uno spot sui 70 metri, costituito da cadute di roccia a picco sul fango, appena tirato in barca, un dentice rigettò dalla bocca due castagnole rosse non decomposte, mangiate pochi minuti prima dello strike. La cosa spettacolare fu osservare la precisione chirurgica del morso sulle povere anthias. Erano evidenti i segni della dentatura circolare sulla parte posteriore della castagnola, dalla pinna dorsale alla ventrale. Ciò significa che, il dentice ha aggredito le due prede in modo da tramortirle e bloccare il nuoto della coda per poi ingoiarla, in un secondo momento, senza effettuare alcuno scatto. I dentici, come la maggior parte dei predatori, quando attaccano una preda, cercano di massimizzare il beneficio in modo tale che il ristoro calorico sia sempre positivo rispetto al dispendio di energie necessario per attaccare la preda. Questo ci fa capire che spesso alla base della catena alimentare dei dentici ci sono piccoli pesci “statici”, che non sono in grado di fuggire o spostarsi in velocità. Pertanto, in assenza di strike su un calamaro modello il cambio di strategia potrebbe essere innescare un’esca piccola e lenta. In passato si riteneva che l’esca migliore per insidiare i predatori delle secche a traina col vivo, come il dentice o la cernia, fosse il calamaro. Un po' come era abitudine trainare trent’anni fa esclusivamente con l‘aguglia per insidiare le ricciole.
Sabiki - Il metodo più redditizio e veloce è sicuramente quello di calare dei sabiki con ami molto piccoli di misura 4 - 10, eventualmente anche montandone due in serie tramite una girella con moschettone, in modo da simulare un grosso branco di latterini in azione. Con un buon ecoscandaglio possiamo leggere facilmente le marcature di pesce foraggio sul fondo, in modo da calare subito i sabiki all’interno delle “palle”. È utile, quindi, tenere le canne in murata col piombo già in acqua, per calarle al primo segnale dell’eco, che sia sullo storico o nella barra a-scope, accompagnando l’azione con un tocco di retromarcia. Per sentire le piccole tocche sul sabiki, ci vogliono cannette molto morbide in punta, lunghe almeno 240 cm fino a un massimo 3 metri e mulinelli piccoli imbobinati con multifibra dello 0,15 e uno shock leader di nylon dello 0,30. Qualora con il sabiki non riuscissimo ad ottenere catture, potremmo provare anche col sistema pescante misto, costituito da un sabiki abbinato a un classico terminale a tre ami da bolentino con trave di 180 cm dello 0,30 e tre braccioli di 15 cm dello 0,20 e ami piccoli, numero 12, innescati con verme coreano o tocchetto di sardina o alice. Una volta calato il terminale nelle marcature non sarà difficile effettuare catture multiple e ripetute di preziosi pesci esca come alacce, sgombri, lanzardi, sciarrani, donzelle, castagnole, mennole, sugarelli. E’ consigliato un recupero molto lento delle esche per evitare barotraumi che possano compromettere la vitalità dei nostri piccoli pesci una volta messi nella vasca del vivo.
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