L'Isula di Federico

Federico Rais, cagliaritano, poco più che trentenne, discendente di una storica famiglia di commercianti è affascinato dal blu fin da bambino. Abbandonato il calcetto, nonostante un gioco da agonista quotato, si cimenta negli sport acquatici, così come gli è congeniale, quindi al nuoto, all’hockey subacqueo, all’apnea in mare e in piscina. E in questo ambiente matura e si qualifica, consegue brevetti (ara e apnea e il II livello con Apnea academy). Diventa istruttore di pescasub e sta terminando il corso per istruttore di apnea indoor e outdoor. Tutto ciò, senza un background evidente, se non fosse per il nonno materno, uno dei primi a comprare la maschera Cressi, nel dopoguerra. In verità - racconta Federico - i miei nonni hanno casa a Frutti d’oro e per diverse estati, in bicicletta coi miei amichetti, raggiungevamo il mare e “a pelle”, davamo la caccia ai polpi con un arnese che comunque chiamavamo fiocina. Avrò avuto 12 anni e già allora rientravo a terra solo per mangiare un panino. Spesso le mareggiate portavano a riva le nasse perse dai pescatori professionisti e io con la mia cricca le raccoglievamo e le aggiustavamo, per poi posarle in mare e recuperare qualche preda. I miei preferivano uscire in barca ma non erano insensibili. Mio zio, visto che passavo le giornate in acqua, mi regalò una muta per i 15 anni, capo che conservo ancora appeso in camera. Mio padre invece mi comprò il Medisten, l’anno successivo, e siccome non avevo forze sufficienti per caricarlo, mi accompagnava in mare e si prestava a questo mestiere per me ancora troppo impegnativo. Come sei cresciuto? C’è stato un momento in cui il mio incontenibile entusiasmo ha colpito il padre di un mio amico. Così mi accompagnò da Air Sub per cucirmi addosso una muta e completare l’attrezzatura. Mi sono sentito forte, orgoglioso. Così, tutte le estati le ho trascorse in acqua, fino ai miei 18 anni. Ma quei 18... la patente... la mia prima trasferta a Cala Cipolla con la macchina dei miei... ero troppo felice, indipendente, arrivato.
Oggi, come peschi? Ho iniziato a pescare in acqua bassa all’agguato a caccia di cefali. Crescendo, grazie anche alle esperienze agonistiche e le frequentazioni che cercavo per maturare, vedi Bruno De Silvestri che ho seguito per il brevetto di pesca in apnea, Luca Farris e Simone Trudu, tanto per citarne alcuni, mi sono avvicinato alla pesca in tana e oggi mi definisco un razzolatore. Per me la tecnica base della pesca in apnea è l’agguato. Mi piace cacciare a vista, del resto, in Sardegna, abbiamo la fortuna di avere un’acqua ancora pulita e limpida.
Un segreto? Ma, il tempo mi ha insegnato a capire quando una zona è viva e ci sono possibilità di fare catture, per cui un’esperienza che posso vendere a cuor leggero è che “pesce porta pesce”. Quindi se vedi pesciolini nuotare è possibile che ci siano anche quelli più grandi. Nel periodo estivo, se vedi un branco di corvinette o pesciolini di altra specie stanziare vicino a un anfratto, probabilmente lì vicino c’è una cernia. Nelle risalite, se vedi barracuda e piccoli pesci di passo, probabilmente ci sono dentici o ricciole.
L’etica del subacqueo? Qualunque sportivo oggi non può fare a meno di essere sensibile in tema di ambiente. Del resto, noi per primi, ci rendiamo conto del degrado. In sintesi, prima di sparare, devo essere convinto che non ci sia nulla in giro di più grosso.
Pesca profonda? A me piacciono le lunghe planate. Non pesco a sgancio, nonostante i risultati possano essere migliori. Il mio limite abituale è fino a 30 metri o poco più.

C’è stato un momento in cui il mio incontenibile entusiasmo ha colpito il padre di un mio amico. Così mi accompagnò da Air Sub per cucirmi addosso una muta e completare l’attrezzatura.


Un’esperienza da raccontare? Una bella esperienza, anche molto particolare è stata una settimana di pesca trascorsa in Norvegia con Fabrizio D’Agnano di Totem Sub. Dovevamo girare un documentario sulla pesca in apnea a Bodo, nel nord del paese. Era estate, 15 gradi di temperatura. La base era un fish camp super attrezzato molto frequentato da pescatori di superficie. Si pescava nei fiordi, quindi mare calmo, acqua scura, non limpida ma ricca di pesci e merluzzi in particolare. Sulle cime la neve. E sotto, molta corrente, per via degli stretti passaggi dove la marea si fa sentire. E siccome questi merluzzi stavano in corrente, per catturarli dovevamo aspettare la stanca di marea. Al rientro, alla base, avevamo sempre i pesci più grossi, perché sparavamo solo quelli dai 15 chili in su. E in Sardegna dove vai a pesca? Mi piace spaziare senza limiti, ma se devo fare un nome: Carloforte. E’ il posto che preferisco per pescare la cernia. Ma d’estate la meta più frequentata è Chia. Conosco molto bene quelle acque e riesco sempre a guadagnare un carniere misto e soddisfacente.
Progetti? Isula fishing club Sardegna. Un’associazione sportiva dilettantistica realizzata con Giacomo Cubeddu per promuovere la pescasub, rivolta a turisti e stanziali che si volessero cimentare col fucile oppure solo per nuotare in posti meravigliosi. Inoltre organizziamo corsi di pesca e stage. L’idea, recentissima, mi è venuta in seguito a diverse esperienze all’estero dove per pescare mi sono ritrovato a pagare per un servizio. Soldi ben spesi, perché mi sono confrontato sempre con appassionati con un alto livello di professionalità. Isula mette a disposizione la barca e il supporto necessario per le escursioni, io al sud e Giacomo al nord.