Ledgering Tecnica in Evoluzione
Era più o meno la prima me- tà degli anni ’80 e un certo Mario Molinari, esperto pescatore e giornalista, grane figura in Fassa, allora azienda imporatatrie del marchio Daiwa, con non poca diffidenza da parte di molti pescatori, cercò attraverso tantissimi articoli sulle riviste di pesca di far conoscere una tecnica nuova, che nel nostro Paese era totalmente sconosciuta: il legering. Nata in Inghilterra negli anni ‘60, essenzialmente per fronteggiare pioggia e vento, la pesca a legering altro non era che un’evoluzione della nostra tradizionale pesca a fondo che però permetteva di avere a poca distanza dal nostro amo una certa quantità di esche o pasture che fungevano da richiamo per i pesci. A pensarci bene questo era un vantaggio notevole, perché fino ad allora la pasturazione veniva fatta a mano o con la fionda, con una precisione piuttosto approssimativa. Ma con la nuova tecnica, la precisione diventava il punto forte di questa nuova tecnica.
Le fasi concitate di un recupero, reso ancor più “laborioso” dalla presenza di un magnifico cane indigeno, appassionato di carpe e pastura.
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Il ledgering
Per portare a poca distanza dall’amo la pasturazione di richiamo, venivano usati degli “aggeggi” che nessuno aveva mai visto: i pasturatori. Di varie forme e dimensioni a seconda della pastura utilizzata. I primi pasturatori in commercio erano a forma di gabbietta per gli sfarinati, mentre quelli per i bigattini erano costituiti da un cilindro di plastica, completamente forato, chiuso sul fondo e con un coperchio apribile per il caricamento delle larve. Queste erano le due differenze sostanziali che si avevano negli anni ’80 per i pasturatori. Se pensiamo all’infinità di modelli che ci sono adesso in commercio, a distanza di tanti anni, c’è da diventar matti. Ma lo stupore maggiore, lo si ebbe quando apparvero le prime canne da pesca dedicate. Adesso sì che i pescatori avevano di fronte ai loro occhi qualcosa di nuovo, di mai visto prima. Le canne erano costituite da un fusto per quei tempi finissimo, suddiviso in tre pezzi, con alla base un manico in sughero sul quale scorrevano due anelli ferma mulinello. Gli innesti erano di tipo a cappuccio, nelle canne più economiche, e a spigot in quelle più costose. Altra caratteristica particolare, ancora da noi sconosciuta, era l’elevato numero di anelli che erano montati sulle canne. Avere così tanti anelli permetteva al filo di restare in linea in caso di forte vento e di non appiccicarsi al fusto in caso di pioggia. Ogni canna era dotata di due o tre cimini, detti quiver tips. Di diverse rigidità, i cimini erano contrassegnati da un piccolo numero, espresso in once, che stava ad indicare in definitiva il test curve del cimino. Con il termine “test curve” si esprime il peso, espres-so in libbre, necessario per piegare la punta della canna in modo che formi un angolo di 90 gradi rispetto al calcio. Come in tutte le canne da pesca, il cimino aveva la funzione di segnalare la mangiata del pesce e per questo motivo la punta era verniciata con dei colori accesi, visibili in quasi tutte le condizioni di luce. Quando le condizioni di luce erano tali da essere impossibile “fidarsi” della semplice colorazione o si aveva a che fare con pesci difficili e sospettosi, si utilizzava il target board, una lavagnetta di colore nero con sopra delle righe di riferimento disegnate, da posizionare dietro il cimino, così da poter scorgere ogni minimo movimento.
Sopra: lo swing tip "a riposo"; appena il pesce abbocca e tende il bracciolo, la punta dello swing tip si drizza, segnalando la ferrata. |
Lo swing tip
Quando si aveva a che fare con pesci davvero difficili, dalle mangiate impossibili, si utilizzava un tipo di cimino particolarissimo detto swing tip. Lo swing tip è un cimino “ballerino”, attaccato al resto della canna tramite un tubicino in gomma. In questo modo lo swing tip resta a penzoloni andando a formare, in fase di pesca, un angolo retto con il resto del fusto della canna. L’innalzamento dello swing tip segnala al pescatore la mangiata del pesce, anche quella più delicata. I mulinelli che si abbinavano a queste canna erano di taglia media, nell’ordine dei 3000 o 4000 al massimo ed avevano una bobina conica che veniva caricata al massimo così da poter avere una fuoriu- scita fluida del filo durante le fasi di lancio. La canna veniva appoggiata su due supporti, detti rod rest e si attendeva che il cimino sussultasse per la mangiata del pesce. Ora, a differenza della pesca a fondo, si utilizzavano attrezzature più leggere e fili più fini, insomma s’iniziava a dare un tocco di precisione e perfezione a quel tipo di pesca che fino ad allora era catalogata come “la pesca dei nonni”. Gli stessi anglossassoni la consideravano una pesca sedentaria tanto che esisteva un detto inglese che consigliava di attendere la mangiata “pescando con le mani in tasca”. Secondo le teorie allora in uso il tempo che doveva trascorrere tra la mangiata e la ferrata era esattamente quello che ci voleva per levarsi le mani di tasca e ferrare. Ora un nuovo movimento aveva iniziato a crescere e una volta vinta la diffidenza dei pescatori, iniziò a crescere in maniera esponenziale, diventando prima ledgering e poi feeeder, una delle tecniche di pesca più efficaci e complesse, maggiormente praticate al giorno d’oggi.
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