L'Azzurro di Tunaria
Il Medio Campidano, oggi provincia del Sud Sardegna, ha da sempre espres-so, sulla fascia costiera e le acque antistanti, una vocazione viscerale per la pesca amatoriale, al pari di Oristanese e Sulcis-Iglesiente. Il territorio è stato la culla del surfcasting ma anche la nursing di un impressionante numero di pescatori subacquei. Guspini in particolare, cittadina alle estre-me propaggini occidentali della piatta e fertile striscia campidanese, vanta alcuni nomi che di storia salata ne hanno fatta. Ci è piaciuto, questo mese, “presentarvi” un personaggio conosciuto e stimato per le sue capacità subacquee: Gianfranco Loi. Il giovanotto, magro e di buona statura, coevo dei moti socio-culturali di contestazione generalizzata che ha interessato gran parte dei paesi del mondo intero, nel cosiddetto “’68”, pur separato dal mare per una catena montuosa ricca di vegetazione e fauna, viene ben presto rapito dal salino grazie alle lunghe stagioni estive passate nella casa di famiglia a Tunaria (Porto Palma). Alla festa per i suoi dodici anni riceve in regalo la sua prima muta, rossa all’interno. Un regalo appunto ma anche un riconoscimento. Da quel momento Gianfranco diventa agli occhi suoi e di tutto il parentato un giovane pescatore subacqueo. Sulla destra naturalmente impugna un fucile, un Phanter 100 Technisub ad aria compressa e impugnatura centrale. Gli esordi non sono fulminanti. Gianfranco è rapito da quel mondo, dalle rocce e le praterie di posidonia e continua a vederlo e seguirlo, innamorato, ma sempre dall’alto, dalla superficie, da giugno a settembre per tre stagioni intere. A 15 anni la svolta. Qualcuno, educatamente, gli mormora: “se non scendi non peschi”. E così inizia una nuova era, meravigliosa e incredibile. I -15 metri arrivano in men che non si dica e di conserva le catture. Saraghi tanti, orate, corvine, insomma tutti i pesci di tana, comprese le cernie.
Il primo mostro
Ed è proprio con una cernia che Gianfranco festeggia la maggior età. L’uno, undici, 1986, dall’alto di una colonna d’acqua spessa 12 metri, all’ombra della torre di Flumentorgiu, succede… “Mi è sembrato di vedere qualcosa in movimento… un’ombra… sul fondo. Quindi concentro l’attenzione su quel-la pietra dai contorni mutevoli, irregolari. Forse è la testa di un pescione… di una cernia. Ma sì, è proprio lei. 10 minuti di panico, di agitazione, di battiti cardiaci che sembrano una grancassa. Riprendo infine le mie funzioni e armato di un Magnum 105 ad aria compressa, mi stacco dalla superficie in direzione abissi. Lo sparo va a buon fine, così risalgo per riprendere aria. E dopo un millisecondo sono di nuovo giù. Acchiappo il cernione, lo abbraccio, gli infilo i tentacoli in ogni pertugio e tocco terra sempre avvinghiato al mostro. Solo poi, a freddo, il giorno dopo, ho realizzato quali danni può provocare una cernia anche se ormai defunta. Avevo le mani completamente abrase e segnate da innumerevoli tagli dovuti alla superficie irregolare e affilata delle branchie.
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