L'altra faccia del gommone
Ancora oggi forse non è ben chiara l’evoluzione di questa specie, se mi permettete, perché è di una “razza” ancora poco conosciuta che si parla in quest’articolo. Il concetto di “gommone-canotto” è stato abbandonato diversi anni fa e anche se tenuto in vita da pochi appassionati o veri gommonauti, oggi si fa un uso inappropriato del termine “gommone”. Questo succede perché ormai il mercato è saturo di prodotti che tendono necessariamente a soddisfare le richieste della massa. Cosa vuole spiegare questo concetto? Niente. Bastava farsi un giretto nel padiglione B del 49° salone nautico di Genova e tutto diventava semplicemente più chiaro… anche ad un occhio distratto. I cantieri che oggi costruiscono gommoni in Italia sono più di ottanta (tanti sono gli iscritti all’Ucina) e se dovessimo fare una cernita tra questi e scegliere chi più si distingue per originalità e inventiva, beh… cari signori, sarebbe arduo compito, credetemi. Proviamo intanto a ricordare chi è presente nel mercato in forma massiccia. Al comando di questa lunga carovana abbiamo la Sacs, con 16000 mq di cantiere, oggi passata al primo posto dopo la fatale ascesa della Novamarine, il cui scettro ora viene detenuto dalla Sea Water, ma con numeri ben più contenuti. Non è una classifica, ma se volessimo fare i nomi più celebri di questo panorama nautico chiameremmo in causa: Bwa, Joker Boat, Solemar, Bsc, Mar.Co, Master, Nuova Jolly, Novurania, Lomac, Asso, Marlin, Bat, Zodiac, Gommonautica, Marshall e altri che in un certo senso hanno lasciato un segno nella storia. Ma ne esistono tantissimi altri che hanno fatto il loro ingresso nel mercato sulla scia di questi ultimi.
Negli anni ’80 esistevano pochissimi cantieri e costruire gommoni di qualità era un privilegio che in pochi potevano permettersi. Il tutto era dettato dalla scelta dei materiali, dal tipo di lavorazione e dalle maestranze presenti in azienda. In auge era Novamarine e la Zodiac, ma mentre la prima si distingueva per il tipo di prodotto, la seconda spiccava nell’industrializzazione del prodotto: i numeri. Ed è proprio questo il punto focale. Prima della crisi le aziende in rapida ascesa hanno sempre ottimizzato il processo costruttivo, fornendosi quindi di terze parti a cui attribuire una fetta della cosiddetta “spirale di progetto”: falegnami, carpentieri, saldatori, resinatori, meccanici ecc. Insomma, tutte ditte esterne e terzisti che si occupavano del pezzo volta per volta (continua sul giornale).
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