Da circa vent’anni a questa parte si parla sempre più spesso di incidenti, nei pescatori subacquei, di una patologia nota come “taravana” che ha coinvolto in particolare gli agonisti di questa disciplina o coloro in grado di operare per parecchie ore a quote me-dio alte, generalmente oltre i 30 metri di profondità. La patologia definita “Taravana” è nota dal 1950 e definiva i disturbi fisici e neurologici che colpivano i pescatori di perle delle isole Tuamotu (attuale Polinesia francese) che arrivavano a effettuare da 40 a 60 immersioni al giorno ad una profondità variabile tra i 20 ed i 40 metri. Questi scendevano verso il fondo con un peso tra i piedi legato a una fune collegata con l’imbarcazione in superficie, da dove il barcaiolo recuperava sia il cesto con le eventuali perle, sia il subacqueo, a forza di braccia. Il tempo totale d’immersione si aggirava generalmente ol-tre il minuto e mezzo con un tempo di pausa in superficie, tra una immersione e l’altra, di massimo 2 minuti. Molti di questi pescatori di perle arrivavano a soffrire di disturbi anche gravi, chiamati in polinesiano appunto Taravana, caratterizzati da disturbi neurologici come emiparesi sino alla paralisi, disturbi della visione, perdita dell’udito, vertigini, e in alcuni casi morte. Una minima parte di questi pescatori sopravvissuti hanno, inoltre, presentato dei danni permanenti a livello cerebrale. I sintomi del Taravana sono, quindi, sovrapponibili a quelli della patologia da decompressione (Pdd), che si riscontra generalmente nei sub che si immergono con autorespiratore e che include: malattia da decompressione (Mdd), che è causata da bolle di gas nei tessuti; l’embolia gassosa arteriosa (Ega), che è causata da bolle di gas nel circolo sanguigno. Malgrado il quadro clinico generale del Taravana coincida, quindi, con la Pdd, ci sono alcune caratteristiche che sembrano non combaciare perfettamente, e per tale motivo sono state ipotizzate altre cause, come l’ipossia e una non corretta ventilazione in superficie. La metodica di discesa è abbastanza tipica e comune a molti: un’iperventilazione di superficie con un tempo variabile tra i 2 ed i 4 minuti, quindi una discesa rapida, a volte utilizzando uno scooter subacqueo, aspetto sul fondo con tempi compresi tra i 50 e i 90 secondi, quindi risalita più o meno veloce verso la superficie. È ormai noto che, in questi ultimi an-ni, si sono riscontrati diversi casi di Taravana tra i più forti agonisti; i casi più noti riguardano l’ex Campione del mondo, lo spagnolo Alberto March, con ben 5 casi presentatisi nel periodo 1995-2000, caratterizzati da emiparesi destra, ipoacusia acuta, disturbi della visione e disartria, tutti risolti con trattamento immediato in camera iperbarica, senza alcuna conseguenza per il campione; oppure il caso del nostro Marco Bardi al quale, dopo un episodio di Taravana, hanno riscontrato, tramite risonanza magnetica e tac del cranio, lesioni cerebrali a livello della capsula interna e della testa del nucleo caudato di dx, oltre a una lesione sottocorticale profonda parietale sinistra. Ma sono diversi i casi documentati che riportano emiparesi e disartria, disturbi alla vista sino a lesioni a carico del cervelletto. In linea generale quasi tutti i casi si sono risolti con terapia ricompressiva in camera iperbarica e terapia farmacologica di supporto, senza alcun reliquato o con qualche conseguenza limitata. Solo nei rari casi più gravi si sono evidenziati aree di lesione in alcuni territori cerebrali a carattere permanente.
Un caso emblematico
Un ultimo eclatante caso ha coinvolto un dodicenne residente in provincia di Messina che ha praticato 5 o 6 tuffi ad una profondità variabile tra -10 e -15 metri (non aveva computer nè ecoscandaglio acceso a bordo dell’imbarcazione) senza rispettare minimamente i tempi di recupero (cosa a lui sconosciuta) e “tirando” l’apnea in tutte le discese. Dopo questa serie relativamente bassa di apnee ha accusato formicolio e intorpidimento a entrambi gli arti inferiori, e a un braccio. Il rapido intervento dei soccorritori, che hanno trasferito il ragazzo presso la camera iperbarica dell’ospedale isolano e dopo essere stato sottoposto a un immediato ciclo di ricompressione, ha permesso al giovane apneista di recuperare completamente la funzionalità degli arti, senza accusare alcuno strascico. Il fatto più sconcertante è che i sintomi di questa patologia sono comparsi nonostante la non elevata profondità ma, probabilmente, si è verificata per una serie di concause che sommate hanno portato allo scatenarsi della malattia. Oltre alle apnee con scarsissimi tempi di recupero si è sommato il fatto che il giovane si trovava completamente a digiuno e senza alcuna idratazione e sicuramente ha influito in maniera importante la giovanissima età. Ciò comunque apre dei nuovi interrogativi sulla fisiologia dell’apnea e sui protocolli più restringenti che gli adolescenti, che si avvicinano all’apnea, devono adottare.
Come evitare il Taravana
Alla luce di questi incidenti è d’obbligo soffermarsi e ragionare sulla fisiologia dell’immersione in apnea e su come evitare di incorrere in una simile patologia potenzialmente molto grave. Il meccanismo mediante il quale gli apneisti possano sviluppare una Pdd è stato inizialmente studiato dal dottor Paulev, in Danimarca. Paulev, ufficiale medico della Reale marina danese, studiò sommozzatori che simulavano, da una torre, un’uscita di emergenza da un sommergibile. Per l’esercitazione le reclute erano accompagnate da sommozzatori in apnea che effettuavano assi- stenza nella fase di risalita in difficoltà, prova richiesta nel corso ufficiali. Paulev ha successivamente descritto lo sviluppo di una Pdd in un ufficiale medico della Marina danese, con una serie di disturbi di estrema gravità, e sovrapponibili al quadro di una Pdd, dopo aver eseguito 60 immersioni in apnea alla profondità di circa 33 metri, con tempo di fondo di 2 minuti, e un intervallo di superficie di 1 o 2 minuti. Dopo circa 5 ore dalle immersioni in precedenza descritte, cominciò ad accusare dolore, paralisi degli arti inferiori, nausea, disturbi della visione e debolezza al braccio destro. Fu trattato con terapia ri- compressiva in camera iperbarica, e, dopo trattamento completo come previsto dalle tabelle, si riscontrò la scomparsa totale di ogni disturbo. In base a questa esperienza Paulev calcolò la percentuale di N2 (azoto molecolare) nei tessuti dopo le ripetute immersioni in apnea, e giunse alla conclusione che il breve intervallo di superficie non consentiva ai tessuti di eliminare l’a-zoto in eccesso, e che la pressione parziale dell’azoto nei tessuti risultava essere pari a quella rilevabile dopo una immersione con mezzi autonomi di respirazione ad aria compressa. Gli studi successivi del dott E. Lanphier hanno indicato che il rapporto tra tempo di superficie, tempo d’immersione e velocità di risalita sono fattori di fonda- mentale importanza nello sviluppo di una Pdd nei praticanti l’apnea profonda. Lanphier calcolò che il rapporto 1 a 1 tra intervallo di superficie e tempo d’immersione equivale a circa il 50% del tempo reale d’immersione. Da ciò si ricava che una serie d’immersioni a 33 metri con tempo d’immersione di 90 secondi e intervallo di superficie di 90 secondi, equivarrebbe ad una immersione continua a 16,5 metri. Se la velocità di risalita è rapida, la profondità equivalente sarà di circa il 65% della profondità attuale (-21,5 metri). Queste relazioni spiegano perché subacquei apneisti che effettuano immersioni ripetitive, a profondità comprese tra -30 e -45 metri possono, in alcuni casi, sviluppare un quadro clinico sovrapponibile alla Pdd. Subacquei che effettuano immersioni per 3 o 5 ore possono superare con valori elevati i tempi di decompressione previsti per profondità equivalenti, e ci sono molte probabilità che possano sviluppare quadri neurologici, anche severi, di Pdd. Per la maggior parte degli apneisti ricreativi il Taravana non rappresenta certamente un problema, ma per coloro che effettuano immersioni ripetitive nella fascia compresa tra i 25 ed i 35 metri, con un intervallo di superficie di 2 minuti per 5 ore o più, è possibile la comparsa di Pdd. Raddoppiando il rapporto tra tempo di superficie e tempo di fondo (per esempio 90 secondi immersione, 180 secondi intervallo di superficie), la profondità equivalente scende a -9 metri quando, in realtà, l’immersione si svolge a -30 metri, e come conseguenza non ci sono rischi di Pdd.
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