Le mie tecniche di pesca preferite, sono la traina col vivo e lo slow jigging. Negli ultimi anni ho adottato una tecnica davvero performante in alcune giornate, che utilizzavo solo come alternativa allo slow jigging, quando le condizioni meteo non permettevano di mantenere la verticale per avere successo. È una tecnica che molti accorpano allo slow jigging o al vertical jig ma, a parer mio, è del tutto a sé stante. Si tratta della pesca in verticale con esche siliconiche e ormai la pratico indipendentemente dalle condizioni, solo in funzione dell’approccio che voglio avere durante quella sessione di pesca. Usualmente la pratichiamo in verticale, ma non necessariamente, utilizziamo attrezzature simili alle altre tecniche e sugli stessi spot ma con un approccio al movimento nettamente diverso. Il silicone, per struttura, non ha necessità di essere animato in chissà quale modo, né di essere “jiggato” a grande velocità, ma possiamo stabilire svariati approcci, in base alla giornata e alle marcature, con recuperi lenti, a dente di sega, movimenti ampi, costanti e così via. Alle volte, con un buon strumento, leggiamo la marcatura e in fase di discesa rallentiamo la gomma o al contrario una volta toccato il fondo recuperiamo in maniera frenetica così da stuzzicare il pesce.
Attrezzatura
Una cosa che trovo importantissima è l’azione della canna. Questa deve essere sensibile in vetta e avere una grande reattività e potenza per “bucare” in fase di ferrata i palati più ostici. Per questo è necessario sceglierla bene, evitando la canna per tutte le tecniche. Ogni singolo attrezzo ha il suo utilizzo e, a parer mio, una canna da slow jigging con azione parabolica o una canna da vertical jigging con una certa rigidità, non sono le canne perfette per questa tecnica, seppure adeguate. L’optimum è la canna che asseconda l’azione del silicone e permette, soprattutto in fase di recupero lento o stop in corrente, di capire ciò che sta succedendo all’esca e che poi, una volta arrivata la mangiata, riesca senza troppi limiti di movimento, tipici delle canne da slow, di sferrare una vera e propria botta sulla mangiata, spesso davvero molto cattiva. Un altro aspetto importantissimo, da non sottovalutare, è la potenza del fusto. Spesso, infatti, incappiamo in grosse cernie con l’abitudine di trascinare l’esca in tana. Non appena arriviamo sul fondo hanno già l’esca in bocca e si trovano a pochi passi dalla loro “casa”. A questo punto, senza troppa gentilezza, con forza e decisione, dobbiamo strapparla qualche metro dal fondo per metterci in sicurezza. Ho lavorato a un progetto per trovare quello che per me è il giusto equilibrio: una canna da gomma con le caratteristiche sopra descritte, la Pallina di casa Borderline Fishing, unica nel suo genere. Piccoli ma potenti rotanti da 20-30 lb con recupero da 6.1 a 7.1, un buonissimo multifibra 8 fili dalle 30 alle 40 lb di potenza con pe #2-2,5, sono sufficienti per avere una perfetta percezione del movimento dell’esca e note- vole sicurezza nella gestione del pesce. Per unire il multifibra al terminale consiglio un buon bobin knotter e, per assicuraci un nodo perfetto, un fluorocarbon di altissima qualità dallo 0,48 allo 0,58, in funzione della conformazione del fondo: andando su fango possiamo stare su uno 0,48 mentre in presenza di pietre nello spot, è preferibile salire un pochino di diametro. Per montare la gomma abbiamo due possibilità. Girella di misura #2 o #3 da 75-100 kg di tenuta e split ring di misura #4 o #5 da 80-100 lb, oppure solid ring e split ring di misura 4-5. Per le esche siliconiche prediligo la girella perché permette di scaricare notevolmente le vibrazioni emesse dalla stessa, non ne limita il nuoto e agevola la gestione del combattimento. Per finire faremo un bel “chain knot” o cosiddetto ”nodo del bruco”, che dà notevole sicurezza, meno impegnativo ma ottima alternativa è il nodo palomar.
In Sardegna ogni zona fa storia a sé. Nel sud ovest, dove pratico questa fantastica tecnica, si pesca dai 30 m fino ai 150-170 e anche oltre, ma ho riscontrato che la gomma risulta molto efficace dai 30 agli 80 metri...
Spot e batimetriche
In Sardegna ogni zona fa storia a sé. Nel sud ovest, dove pratico questa fantastica tecnica, si pesca dai 30 m fino ai 150-170 e anche oltre, ma ho riscontrato che la gomma risulta molto efficace dai 30 agli 80 m su fondali misti con pietre e posidonia, pietre isolate su sabbia, ma anche le belle cigliate di fango, spesso risultano ottimi spot do-ve far scendere le nostre esche. Come tutte le pesche in verticale è importantissimo gestire l’imbarcazione in maniera perfetta cercando di scegliere se pescare sulle marcature, oppure scarrocciare, tenendo conto della corrente e del vento per lavorare in maniera valida sui punti. Altresì importante è la strumentazione di bordo che dobbiamo interpretare in funzione delle condizioni ambientali. Ad esempio, una giornata con palesi marcature può dare la possibilità di “pescarci sopra”, mentre quando queste vengono a mancare ci dobbiamo ricordare di far lavorare le “gomme” intorno e sopra il foraggio, cercando di tagliare l’hot spot da diverse angolazioni, stabilendo il giusto peso e la giusta colorazione in base alla giornata: colorazioni naturali in un momento della giornata dove il sole è alto o quelle più accese quando il cielo è maggiormente coperto così come nei momenti di alba e tramonto, potranno risultare valide. Non dimentichiamo di alternare i movimenti e le forme delle esche, piccoli e grandi pesciolini alternati a finte seppie o calamari ci permettono di avere più chance e di capire cosa in quella giornata e in quello spot porterà a un buon risultato.
Prede
Inizialmente pensavo fosse una pesca eccessivamente selettiva, ma ho dovuto ricredermi perché vengono attratti da queste esche anche piccoli pagri, capponi, piccoli tunnidi, fantastici sanpietro e non solo. Ovviamente la mente del pescatore va a cercare per tutta la giornata la super botta, tipica dei big: grossi pagri, dentici, cernie, ma, nonostante siano queste le prede ricercate, è possibile incappare, con minor frequenza, anche su grosse ricciole. In conclusione, si tratta di una tecnica affascinante e adrenalinica perché la “botta” della mangiata è davvero impressionante e i combattimenti sono molto serrati. Necessita di molta costanza e tante, tante ore passate a stabilire un giusto approccio con i vari spot: più teniamo le esche lì sotto, più possibilità abbiamo di portare a casa dei buoni risultati. Tutto ciò è possibile avendo sempre massimo rispetto del mare, che così ci ripagherà con emozioni che, a noi pescatori nient’altro potrà dare.
Segreti
Un grande pescatore un giorno mi disse: “recupera quell’esca come se stessi giocando con filo e pallina con un gatto, alle volte lentamente cerchi di attrarlo, altre volte in maniera frenetica, altre facendo salire e scendere quella pallina legata al filo cercando di stimolare il suo istinto predatorio, in alcuni casi lo tieni fermo e lo fai schizzare via improvvisamente… Ho cercato di riportare tutte queste azioni in fase di pesca come se quell’esca fosse una pallina e come se il pesce fosse un gatto. Ma anche questo forse è solo un mio modo di vedere la pesca, elaboro ricordi tramandati, chiacchiere fatte con vecchi lupi di mare, come mio padre e mio nonno, e poi li riporto cercando di modellarli e adeguarli ad ogni pratica credendoci dall’inizio alla fine, destrutturando e ricostruendo ogni singola sensazione per poi proiettarla alla mia più grande passione.
Commenti ()