Kuda No Vax
Ormai è deciso, si esce, finalmente. Dopo troppi mesi di inattività, periodo che ha coinciso con la ricca stagione turistica, le restrizioni imposte dalle leggi in fatto di pesca diurna e la nostra poca voglia di muoverci con il sole alto sulle pelate… insomma, dopo troppo tempo è giunto il momento di soffiar via le ragnatele dalla canna da spinning. “Doctor Mebbisi!” ecco il richiamo a cui non potrei mai dire no, la tanto aspettata telefonata del mio amico Stefano, anche lui risorto dal letargo estivo. “Mebbisi, andiamo a sconcare qualche serra?” e continua “lo so, tu fremi per lanciarti in foce dove ti aspettano le “spiccolle”, anzi quella, la “spiccolla da toddicci” (toddicci starebbe per 12 chili, un miraggio…). Mebbisi, muovi il culo, andiamo a pungere qualche pesce…” e altre cazzate dello stesso livello. Come fai a dire di no a tali lusinghe? Monica ha già capito tutto. In teoria ci sarebbe da fare la spesa, in farmacia mi aspetta un farmaco essenziale, la bella giornata inviterebbe a una gita fuori porta, come due fidanzatini. Sì, fuori porta in un attimo, ma con lo zaino degli artificiali e l’inseparabile (non è vero, l’ho abbandonata per mesi in uno sgabuzzino) monopezzo, color verde speranza. Verde come la mia faccia e la speranza di non far arrabbiare troppo la mia metà. Monica però non si dispera, anzi. Sa che le uscite con Stefano, come quelle dedicate al surfcasting con Marco, mi trasformano; quelle poche ore di pesca mi restituiscono al mondo con un carattere più socievole e simpatico; supermercato, farmacia, vita reale… per oggi potete aspettare a domani; adesso è tempo di spinning. Stefano decide che si va con la sua macchina. Per me è lo stesso, ma dopo un secondo che siamo partiti capisco cosa abbia spinto l’amico a offrire gomme e gasolio. Guida come un pazzo, ha sulle spalle una “scimmia” che in confronto la mia voglia di pesca è un semplice languorino. Negli occhi gli leggo la vera impazienza e quel “col cazzo che guidi tu, bradipo! Fosse per te arriveremmo al tramonto…”. In macchina inizia la “magia” dello spinning. “Ma sei sicuro? Ti hanno detto che ci sono i serra tutto il giorno?”, mi fa Stefano. Mi spaventa, non è una chiacchierata tra amici, è più simile a un terzo grado. Se non rispondo come si aspetta la prossima curva la “monza”, sicuro, mi fa uscire le viscere dagli occhi. “Boh, sì, credo di sì…” abbozzo io. Risposta sbagliata! Ecco che arriva la curva, Stefano accelera, mica frena, fa quasi il gesto di tirare il freno a mano… “Serra a scoppio! Serra a scoppio!” mi esce un urlo, quasi una confessione strappata con la forza e lui sembra placarsi, adesso guida seguendo le linee dettate dall’asfalto. Arriviamo finalmente nei pressi dello spot. “Caffè?” mi chiede Stefano. Ma si Ste’, ti vedo appena appena su di giri, cosa vuoi che succeda con un po’ di caffeina in più. Al caffè si aggiunge anche un cappuccino a cui abbiniamo un paio (alla sarda) di paste. Il barista osserva il grande orologio alle sue spalle e ha la conferma che sono le 13:00, proprio l’ora adatta per un cappuccino con pasta. Siamo chiaramente usciti dalla realtà, immersi nella dimensione spinning. Intorno il mondo si agita, nuove guerre, vecchie pandemie… ma il nostro problema adesso sono le ancorette; troppa inattività ci ha allontanato dalla giusta manutenzione dell’attrezzatura. Un veloce sguardo agli artificiali conferma i nostri timori: metà di questi sono inservibili, le ancorette arrugginite si sfaldano appena le tocchiamo con i polpastrelli. Camminiamo verso la meta e camminando armiamo le canne. Soffia il grecale e col passare dei minuti rafforza. Il mare increspato nasconde a tratti una trasparenza incredibile, bellissima ma anche un po’ nemica del pescatore. Infatti il mare cristallino non aiuta a celare l’inganno; in queste condizioni l’utilizzo di un finale in fluorocarbon dello 0,28 anziché dello 0,32 può fare la differenza. Percorriamo un pontile galleggiante; per fortuna che nessuno dei due soffre il mare perché la struttura ondeggia lentamente e a tratti rende difficile anche il solo stare in piedi. Primo lancio, un rito, altro che quella puzzonata del Cha no yu, la cerimonia del tè giapponese… Al primo lancio lo spinner affida buona parte delle proprie speranze di successo. In generale esiste una regola, quella del 10 che giustamente Stefano mi ricorda ad ogni uscita. Dieci lanci, non uno di più, se non succede niente, via! Si cambia spot. Stefano decide di approcciare il mare con un sinking, un artificiale affondante. Aggancia un modello sui 15 centimetri, con una colorazione azzurra e grigia, molto naturale. Io monto un darter che nuota 30 centimetri sotto il pelo dell’acqua; colorazione gay pride, bianco e perlato con infiniti riflessi e luccichii azzurrini e rosa. È il primo lancio, solo il primo, ma subito ho un segnale dal mare. Quando ormai l’artificiale è a non più di 15 metri dai miei piedi, alle sue spalle compaiono due ombre minacciose.
“Ce l’ho! Non è grande ma l’ho preso!” Il segnale che stavamo aspettando, l’attacco del kuda premia la scelta di Stefano di usare ancorette integre.
“Due serra! Mebbisi hai due serra che ti seguono!”. I due predatori affiancano l’esca, quasi la sfiorano per poi sparire nell’abisso. “Che storia! Ci sono, ci sono!”. In un solo colpo riesco a guadagnare punti importanti. L’avvistamento è garanzia che al ritorno potrò usufruire del passaggio dell’amico, visto che ho dimostrato di non dire sciocchezze. Ma i due predatori, dopo un inseguimento che sapeva più di pedinamento, mollano l’osso forse fiutando il pericolo. Una cosa è certa, nelle due ore successive non vedremo più un serra, spariti… Poco male perché la giornata si riempie di barracuda. Di giorno? chiederete voi. Ebbene sì. Lo spinning ai barracuda è una tecnica prettamente notturna o al più si svolge nei cambi di luce. Di giorno questi parenti dei lucci sembrano sparire. Non così questa volta. Ma i primi avvistamenti sembrano dire che non hanno intenzione di farsi pungere. Dei “kuda no vax”, proprio a noi dovevano capitare. Iniziamo a cambiare esche, sondare quote differenti, dalla superficie sino al fondo. Ci accorgiamo che i barracuda più che attaccare le esche per azzannarle, le toccano, le spostano. Un comportamento che ci appare territoriale. A questo punto Stefano fa la scelta vincente. Dal suo ventaglio di artificiali sceglie quello con le ancorette ancora integre; un sinking azzurro. Lancia, recupera lentamente e… “Ce l’ho! Non è grande ma l’ho preso!”. Infatti il pesce non è certo di taglia ma la cattura è comunque da festeggiare. La posizione delle ancorette, infilate sul fianco del pesce, conferma che questo ha attaccato più per spostare l’esca che per azzannarla. Nello spinning, la cattura, ogni cattura, è motivo di festeggiamento. Infatti stiamo parlando di una tecnica molto selettiva che non regala catture in numero cospicuo, ma ogni strike ti mozza il fiato. Alla fine prendiamo la strada del ritorno. Stranamente Stefano sceglie una guida più cauta, più green. È ovvio, adesso siamo appagati. Un misto tra la tranquillità del risultato raggiunto e la voglia di ritornare a pesca prima possibile. Ok, forse mi attende un salto al market e in farmacia, ma la “finestra” di spinning ha fatto arrivare nuova aria al cervello.
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