Per pescare al meglio con lo slow jigging è indispensabile utilizzare un’attrezzatura leggerissima, compatta, con fili sottili e nodi perfetti. Tanto che non esiste altra tecnica di pesca che richieda una preparazione altrettanto equilibrata e precisa. Abbiamo trattato in precedenza di canne e mulinelli, per cui riprendiamo il discorso dai fili e in particolare dal trecciato. Essendo quest’ultimo, in parte dipendente dalla potenza della canna e dall’ambiente operativo, può variare da un pe 1,5 a un pe 3, comunque si tratta di un ottimo 8 fili. Vedi il Varivas Avanti jigging o il Sunline Siglon. Quindi, riempito per bene il mulinello, per chiudere il capitolo fili, aggiungiamo uno spezzone terminale lungo dai 3 ai 6-7 metri, rigorosamente in fluorocarbon da 30, fino a 50 libbre, come lo Shock leader di Varivas o il V-hard di Sunline. Per il nodo di congiunzione, eseguito rigorosamente a regola d’arte, è indispensabile il bobbin knotter. All’estremità del terminale leghiamo un solid ring Bkk o Varivas, tondo o sagomato, proporzionato al jig e all’assist che intendiamo montare, con un nodo del bruco o della catena, che dir si voglia, o chain knot (in english), sul quale si inserisce uno split ring che unisce il solid della lenza madre al solid dell’assist di testa. Lo stesso split si aggancia al jig. È inutile aggiungere al jig, snap, tubicino di redancia o il doppio split, anzi, è controproducente. Infatti, con queste “aggiunte” s’interviene sul naturale nuoto dell’esca e si inibisce la sensibilità, pregiudicando sia il movimento che si vuole imprimere al jig, sia quell’indispensabile contatto diretto nell’abboccata che incide sulla cattura del pesce. Con la configurazione suggerita, se qualcosa andasse storto nel confronto con un super pesce, non sarebbe colpa nostra. Altri materiali indispensabili da tenere a bordo sono il guadino, il raffio, una bobina di trecciato, fluorocarbon di diversi diametri, pinze per i ring, assist vari e qualche bustina di ami, split ring e solid ring.
A pesca
Al contrario di come ce la vendono molti operatori, in realtà, lo slow jigging è una tecnica molto complicata. Non basta attaccare un jig a una treccia, mettere la canna sotto l’ascella e fare dei recuperi alternati a mezzo giro di manovella e un giro. Poi, arriviamo sullo spot di pesca, caliamo quel jig per ore, e non arriva nemmeno una mangiata. Ci vuole tecnica e… tenacia. Partiamo dal posizionamento della canna, da come si imbraccia. Non sotto l’ascella, ma sotto l’avambraccio, solidale a esso. Il palmo della mano avvolge la guancia del mulinello. Il mignolo stringe la canna prima del grilletto del manico, dopo l’anulare e il medio. L’indice è proteso in avanti, appoggiato alla canna, di fianco, mentre il pollice sul bordo superiore della guancia si contrappone agli sbilanciamenti del recupero stabilizzando il mulinello e in più regola il contatto della canna con l’avambraccio. Così si ottiene una presa sicura, anche a prova di sbandamenti laterali del polso. Una volta acquisita dimestichezza con la posizione, sono i muscoli grandi a lavorare in fase attiva e passiva. Il movimento dell’esca è comandato dalla spalla e dal petto che portano la canna indietro e in avanti, mentre la manovella del mulinello viene gestita in risposta al jig e alla vetta della canna, tutto per far muovere il jig “naturalmente”. Così facendo, rispetto al recupero “sotto l’ascella”, abbiamo alcuni vantaggi: minor fatica, perché lavorano i muscoli grandi che hanno una resistenza maggiore, a differenza di polso, avambraccio e bicipite che sono i primi che si stancano; la canna lavora perché risulta un’estensione dell’avambraccio e non è limitata da un unico movimento a breve corsa; possibilità di alternare più movimenti, ad esempio dei long faal, o pitch corti abbinati a sequenze di recuperi; maggior sensibilità.
Bisogna arrivare sullo spot con energia positiva, consapevoli che forse ne cambieremo 50 durante la giornata, o forse ne utilizzeremo solo uno e due. Individuiamo la direzione e la velocità dello scarroccio. Poi posizioniamo la prua dell’imbarcazione, col mascone sul lato dove vogliamo pescare, faccia al vento, e teniamo il motore girato da quel lato, cosi che la deriva ci tenga quanto più possibile in posizione ottimale. Se ci rendiamo conto che la corrente è forte e il jig appena calato, risulta evidentemente troppo lontano, allora dobbiamo pescare in maniera attiva, mettendoci col vento in poppa e utilizzando il motore in retromarcia per stare in verticale sull’esca. In caso contrario, un’eventuale abboccata è da considerarsi del tutto casuale, mentre certo o quasi è l’arrocco sul fondo. Quindi, è buona regola calare l’esca solo se il mezzo rimane sulla verticale. Se, grazie all’eco, individuiamo del foraggio poco sopra le rocce o il fango, per non intercettarlo, dobbiamo far lavorare l’esca nello spazio libero tra il foraggio e il fondo. La speranza è sempre quella che un predatore si trovi in zona, acquattato, magari pronto a cacciare il foraggio, ma viene catturato dal movimento lento di un jig perfettamente verticale. Se invece ci rendiamo conto che il jig non lavora perfettamente, è bene sostituirlo, magari con uno più affusolato, più sottile, così che tagli meglio la corrente.
Dobbiamo gestire lo scarroccio, cercando di stare quanto più possibile sulle marcature, ma se queste sparissero, occorre rimontare, anche seguendo diverse angolazioni. Ma è giustificato e anzi auspicabile, che in mancanza di marcature evidenti, si seguano percorsi teoricamente interessanti per i predatori o il foraggio. Da non trascurare, i passaggi sulle irregolarità del fondo, quali buche, spaccature e naturalmente pietre.
In caso di abboccata è utilissimo riconoscere al più presto l’incauto predatore e la sua mole, questo perché la ferrata, ad esempio, non sempre è necessaria. Inoltre essendo il mulinello pretarato su valori medi, potrebbe esserci la necessità di intervenire, soprattutto nei primi metri di risalita. Nel caso sia necessario forzare un po’ il recupero, potrebbe risultare utile passare la canna dall’avambraccio all’ascella, per assicurare l’opportuna stabilità. In ogni caso, una volta staccato il pesce dal fondo bisogna gestire il recupero senza fretta, con percorsi verticali, magari aiutandosi col fuoribordo, finché guadino o raffio entrano in azione.
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