Nell’ultimo decennio, a seguito delle limitazioni previste dalla nuova normativa Icaat, tese a preservare gli stock ittici del tonno rosso, si è avuta un’elevata diffusione della pratica del drifting lungo le coste della nostra penisola.
Il principio cardine della tecnica del drifting al tonno è quello di realizzare una scia densa di sostanze grasse, principalmente sardina, così da attirare i tonni al suo interno e invogliarli a attaccare i nostri inneschi che devono essere sempre compresi rigorosamente all’interno della fascia di questo brumeggio che, in corrente, si allontana dalla nostra imbarcazione. Questo è uno degli elementi più importanti del drifting. Infatti, non sempre risulta agevole, soprattutto ai meno esperti, capire e interpretare la direzione e l’angolo della pastura che scompare sotto la nostra imbarcazione, anche perché, nell’arco di una giornata, è soggetta a variazioni anche importanti. Da qui, l’inevitabile spreco di sardine buttate a mare, a cui non segue alcuno strike. In linea generale, la tecnica del drifting al tonno rosso, a seconda delle condizioni meteomarine e alla tipologia dello spot di pesca, viene praticata con tre differenti modalità: ancorati, in deriva con ancora galleggiante, col paracadute.
Ad esempio in alto Adriatico con fondali molto bassi, intorno ai 30 metri, i pescatori preferiscono ancorarsi. Nel Golfo di Napoli, visto che gli spot hanno generalmente profondità in alcuni casi superiori anche ai 200 metri, si utilizza molto il paracadute. In Sardegna, invece, la tecnica preferita è quella dell’ancora galleggiante o dello scarroccio programmato grazie anche all’uso dei migliori motori elettrici da prua. A differenza delle comuni ancore galleggianti di superficie, il paracadute, se viene correttamente posizionato all’interno della corrente secondaria, consente uno scarroccio controllato, con velocità bassissime, ben al di sotto del mezzo nodo. Così facendo, l’imbarcazione si sposta insieme al brumeggio consentendo all’angler di rimanere più correttamente in pastura, anche con cambi di corrente, e comunque utilizzando piombi molto più leggeri e quindi inneschi più naturali.
L’evoluzione - Negli anni ’90, quelli d’oro del Big Game, si pescava con attrezzatura molto pesante, costituita da canne carrucolate di almeno 80 libbre, abbinate a mulinelli, tipo i famosi 12/0 da 130 lb, nei quali si imbobinava filo di nylon di diametro proporzionato. Quest’ultimo veniva doppiato negli ultimi metri con un nodo bimini twist, e tramite una bocca di lupo si collegava un girellone con moschettone Sampo, da 300 libbre a cui si abbinava un terminale di due metri e mezzo di almeno 200 libbre dove nella parte finale si crimpava un amo di dimensioni generose, senza girella. Rispetto al passato, a seguito della evoluzione delle attrezzature e dei materiali introdotti negli ultimi anni, il complesso pescante ha subito dei rilevanti cambiamenti. Oggi si utilizzano canne molto performanti, costruite con materiali innovativi e accoppiate a mulinelli molto leggeri. I combattimenti avvengono in stand-up rispetto a quelli epici su sedia da combattimento posizionata a prua dell’imbarcazione.
Fili - In base al filo del mulinello si sviluppano diverse configurazioni e connessioni del complesso pescante. Se la scelta dovesse ricadere sul nylon, come per esempio avviene nelle competizioni agonistiche organizzate dalla Fipsas, dovremo effettuare una congiunzione del terminale, di circa 9 metri, tramite un wind-on o con una co-co connection da realizzare con il roto-knotter. In questo caso sono consigliate canne carrucolate perché gestiscono con più efficace e precisione il passaggio e lo slittamento del nylon. Nel caso in cui volessimo riempire il mulinello col braid, la connessione col terminale sarà realizzata con un PR knot, mentre la canna ideale risulta anellata in pietra. Questa configurazione, più rigida e meno elastica, evidenzia un minimo range di errore, cosa per la quale il neofita è costretto a fare molta attenzione, senza concedersi alcuna distrazione.
Un’ultima soluzione alternativa è l’allow core, una treccia cava all’interno, che ha il vantaggio di poter inserire il terminale all’interno della garza tramite un ago, in modo da fluidificare, nel recupero, il passaggio negli anelli della congiunzione del terminale. Per connettere il filo col terminale si può usare anche il Wind-on, che ha il vantaggio di essere molto utile in un’impostazione dinamica della pescata, se ad esempio, vogliamo diminuire il diametro del terminale, in quanto è possibile cambiarlo, semplicemente allentando il collegamento loop to loop di giunzione. Per conferire maggior elasticità al complesso pescante, è consigliabile interporre, tra la treccia e il terminale di fluorocarbon, un preterminale di almeno 25 metri di nylon, del diametro dello 0,70-0,80, che funge da “molla” e ammortizza le fughe e testate di tonni di mole nelle fasi di combattimento. Tale “molla” può essere collegata lato multifibra con un PR Knot, mentre la connessione tra preterminale e terminale può essere eseguita con un nodo co-co connection utilizzando sempre il rotoknotter. Negli ultimi anni, vista la taglia medio-piccola dei tonni catturati nelle coste italiane (isole comprese), che si aggira intorno a 30-40 kg , la configurazione più utilizzata prevede canne da 30 libbre in top shot, anellate acid con anelli aventi pietre per l’utilizzo della treccia, mulinelli leggeri e compatti imbobinati con almeno 700 metri di braid di ottima qualità (8-16 capi da 100 libbre), ma con drag, in full, di almeno di 15 kg, Il diametro del terminale, di fluoro o nylon, a seconda delle preferenze, varia ovviamente in funzione della grandezza delle prede, quindi da 0,60 ad un massimo di 0,90 mm. All’estremità del terminale viene accoppiato un amo della misura 7/0-8/0 rigorosamente circle, con girella a doppio cuscinetto che consente di ridurre al minimo le rotazioni dell’esca anche in correnti sostenute.
L’amo viene fissato al terminale attraverso una crimpatura, utilizzando una redancia di tubicino trasparente in uretano, rivetti e pinze di qualità, oppure, nel caso di terminali sottili sotto lo 0,65 di diametro, si preferisce la soluzione alternativa realizzando un semplice nodo a scelta tra quelli più affidabili (il SeaBaby da mie prove effettuate, assicura circa il 100% del carico di rottura). Ovviamente nel caso di spot frequentati da pesci over 100, l’intero complesso pescante (canna-mulo-fili-ami) dovrà essere completamente rivisto e maggiorato. A partire dalla canna che sarà minimo 50-80 libbre, con una schiena robusta e riserva di potenza altissima per combattimenti estremi. Sarà abbinata a mulinelli con drag intorno ai 18-20 kg, e fili che dovranno sostenere a lungo enormi stress senza collassare.
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