Il Rosso col Vivo
Passati i fasti dell’Adriatic Tuna, diminuita a un terzo la taglia media del tonno rosso e contingentata la cattura per un benedetto regolamento comunitario che oggi, però, risulta un po’ strettino, a giugno, il 16, si ripropone puntuale l’apertura della pesca al tonno rosso (Thunnus thynnus). Intanto, visto che l’entrata significativa della prima ondata si verifica a maggio, con esemplari grossi e affamati, la febbre sta già salendo e per tutti, neofiti o provetti pescatori è ora di prepararsi per quelle pochissime settimane concesse agli sportivi, vista la minima quota a noi destinata. Uno dei nodi da sciogliere è quindi la tecnica di pesca da adottare: drifting o traina? Pur con tutte le varianti (ancorati, a scarroccio, col paracadute) della prima, chi volesse superare la staticità del drifting, deve per forza optare per la traina col vivo, una tecnica che è stata reinterpretata in questi ultimi anni e che sta riscuotendo sempre più consensi. L’esca viva viene usata anche nel drifting tradizionale, ma nella traina si può sfruttare in più occasioni visto che il moto rende la navigazione più confortevole anche con condizioni di mare un po’ più spinte. Poi utilizzando l’affondatore, sia elettrico che manuale, si riesce a mantenere costanti le quote operative e andare alla ricerca del pesce invece che aspettarlo in deriva o ancorati. Inoltre possiamo portare le esche sul cappello di una secca, su una cigliata su un relitto e farle passare avanti e indietro con assoluta precisione. La traina al tonno con l’esca viva si può praticare con qualsiasi imbarcazione, dal gommone di 4 metri al super fisherman di 20 metri, l’importante è che possa navigare ad una velocità minima di un nodo e mezzo. Questa andatura è sostenuta egregiamente dalle esche e noi, percorrendo più miglia, incrementiamo le probabilità di trovare il predatore.
Attrezzatura
Il filo per la bobina del mulinello che riscuote più successo è il nylon da 50 lbs, al quale si aggiunge un terminale in fluorocarbon lungo 6, al massimo 7 metri, con un nodo di sangue, se i diametri sono simili, oppure un allbright per differenze significative. L’amo, certamente circle, ma non offeset, quindi quello col gambo e punta allineati, altrimenti l’esca non navigherebbe in modo corretto. Questo viene assicurato al terminate con un adriatic knot direttamente sulla girella inclusa nell’amo. Le canne sono del tipo stand-up da 30-50 lbs, col manico dritto o curvo, ma in presenza di neofiti meglio quello dritto, anche perché soprattutto sottobordo, consente una più facile gestione del tonno. Un accessorio fondamentale in questa pesca è la cintura da comattimento, gambale con tanto di fascia renale, avvolgente, ottime la Normic e la Black Magic. Comunque con una presa sul renale per un eventuale aiuto esterno, a volte indispensabile, come quando si rompe il filo e si rischia di cadere all’indietro, oppure a causa di un imperfetto settaggio della frizione o altro per cui si rischia di finire in mare. In ogni caso sulla cintura è bene disporre di una lama o una forbice, in modo da tagliare il filo in caso di necessità.
Assetto
L’assetto di pesca ideale è con tre canne, di cui due collegate all’affondatore a palla di cannone, una zavorra più o meno sagomata del peso di 5 chili. La prima esca, collegata direttamente sulla palla con un moschettone e un elastico con doppia bocca di lupo, staziona a 25 metri circa dalla palla stessa. Per la seconda canna la calata è molto diversa. Si fila l’esca per almeno 50 metri e si collega direttamente sul cavo dell’affondatore (metallico o multifibra da 150 lbs), questa volta con un aggancio rapido (Stonfo o Sardamatic). L’elastico infatti, in questo caso stenta a rompersi per l’elasticità del cavo. E’ importante seguire con attenzione la discesa della palla di cannone perché il cavo deve calare rego- larmente con solo un minimo di pancia, altrimenti si perde in sensibilità. Al contrario, con il filo troppo teso, si rischiano sganci della pinza pur senza le giuste sollecitazioni. L’ideale è tenere il cicalino inserito, la frizione aperta e magari la mano sulla bobina appena appoggiata per assicurare una discesa lenta e regolare. Questa calata si effettua da una murata della barca e consente sullo stesso bordo virate abbastanza strette con un raggio leggermente superiore alla canna più lunga, quindi con un raggio minimo di 50-70 metri. Con questo assetto si riesce a gestire le lenze anche con mare vivace o corrente sostenuta, oppure rotte irregolari. Calo la terza canna - confida Onofaro - scollegata dall’affondatore, filata quasi a galla con 50 metri di ny-lon a cui aggiungo un piombetto di 100-200 grammi, col solito elastico e la bocca di lupo. Mollo altri 30-50 metri e poi metto un palloncino con elastico e bocca di lupo sulla lenza madre. La canna naturalmente va riposta sulla murata libera. Il palloncino serve per allontanare l’esca dalla barca e regolare il suo affondamento. Così l’esca risulta a circa 120 metri dall’imbarcazione. Questa terza esca viene spinta in uno specchio d’acqua completamente diverso, senza il disturbo dei motori e quindi con chance diverse. Infine, quindi, l’assetto finito si presenta con un’esca profonda sulla fascia dei 40-60 metri, un’altra a circa 20 metri dalla superficie e un’altra ancora nei primi 10 metri. Tutto ciò con un’apertura a ventaglio perché ogni esca lavora angolata rispetto al moto. Insomma è una tecnica che consente di sondare più acqua e mostrare con grande evidenza le esche. Se vogliamo concederci una variante, possiamo armare una canna (la terza) con piombo guardiano, molto pesante, circa 750 grammi, innescata ad arte con un calamaro, tanto che non ruoti su se stesso, oppure uno sgombro o un sugarello, tutto per la cattura di dentici o cernie. Da tenere presente che i tonni fanno grosse risalite dal fondo, anche incuriositi dal rumore della barca, e poi riscendono. Magari non trovano l’esca o scartano la prima che incontrano perché forse non convincente, ma in discesa qualche volta trovano le esche intermedie e non è raro lo strike, soprattutto sull’esca a mezz’acqua.
Fondali
Qui da noi, poco a nord a Olbia, abbiamo buoni risultati su batimetriche da 40 a 100 metri, percorrendo al massimo una dozzina di miglia. Di solito peschiamo abbastanza vicino alla costa, a non più di 5 miglia da Porto Rotondo. La batimetrica ideale è comunque tra 70 e 80 metri.
L’innesco
I pesci esca principali sono i sugarelli, le alacce, gli sgombri e comunque pesci vivi, anche merluzzi, lucertole, pagelli. L’importante è che siano animali tra i 100 e i 400 grammi. Buone anche le lampughe di inizio stagione (luglio-agosto), i barracuda, insomma abbiamo tanti pesci utilizzabili se luccicanti e molto vitali. Per l’innesco, ci vuole un ago “tipo materasso”, con la cruna aperta e un elastico. Il procedimento è il seguente: praticare, con l’elastico, una bocca di lupo sull’amo e inserirla nella cruna aperta dell’ago. Infilare l’ago in una narice e farlo uscire dall’altra. Prendere la bocca di lupo e infilarla nuovamente nell’amo. Brillare l’elastico (cioè far girare l’amo su se stesso tenendo ferma l’esca) e ripassare la punta dell’amo alla base della brillatura perché non si sciolga. In questo modo il moto dell’esca sarà perfetto. L’elastico, infatti, a differenza dei fili rigidi come il dacron o il cotone cerato, ammortizza eventuali scossoni, vuoi un colpo d’onda o un accelerazione della barca, ad esempio, e non ferisce l’esca quindi questa si mantiene più vitale. Questo innesco è particolarmente efficace perché l’amo si posiziona sopra il muso e appare nascosto al predatore che attacca, ad esempio, il sugarello dal basso verso l’alto.
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