Diamo uno sguardo veloce all’attrezzatura necessaria per affrontare con le migliori probabilità di cattura, la stagione del serra fishing. Sembrerebbe l’anno della rivincita, con frequenti catture di grossi esemplari. Insomma, sembrerebbe proprio un’ottima annata.
La pesca del serra segue ormai regole che nel tempo si sono consolidate. Ma ogni anno è caratterizzato, in Sardegna, da particolari situazioni. Questa sembra essere la stagione della rivincita: sono tornati i serra big! Esiste un metodo molto semplice per capire come stia andando la stagione di una particolare tecnica di pesca. Basta entrare in un negozio del settore e ascoltare i discorsi dei pescatori. Certo, a tutto bisogna fare la tara, abbiamo notoriamente l’abitudine di ingigantire misure, quantità, usare superlativi troppo spesso assoluti. Ma se in mezz’ora si sente parlare solo di “granchi blu” e serra, allora è bene soffermarsi un momento. I primi, in queste settimane hanno conquistato la ribalta grazie alla capacità incredibile che “sembra” abbiano nel colonizzare i nostri litorali. “Ormai siamo invasi! Sono una sciagura!”, ecco le classiche esclamazione che accompagnano racconti drammatici, con decine di braccioli tagliati di netto dal crostaceo invasore. Ma per fortuna, stessa importanza e spazio trovano le fresche testimonianze di catture di serra. Siamo entrati nel pieno della stagione che il pescatore dalla spiaggia trascorre alla ricerca del predatore dai denti affilatissimi. Ma quest’anno, in barba ad un trend che nel tempo mostrava una diminuzione della taglia media delle catture, si registrano numerosi strike ben sopra i 3 chili. Si potrebbe quindi affermare: “Ben tornati bigserra!”. Vediamo quindi lo stato dell’arte per quanto riguarda questa tecnica, in modo da sfruttare tutto settembre e l’inizio dell’autunno nel modo più efficace possibile
Attrezzi da serra - Se fino a qualche anno fa valeva la regola “boccone grande = pesce grande” e bastava lanciare l’esca a poche decine di metri da riva per avere un quasi immediato strike, oramai è provato che se si vogliono avere buone probabilità di cattura bisogna arrivare il più lontano possibile. Ok, ogni spot ha le sue caratteristiche distintive. Ma i serra prediligono le lunghe spiagge con fondo sabbioso e omogeneo, accostano in branchi numerosi con attacchi frontali, dal largo verso riva e sempre meno spesso cacciano nuotando paralleli alla costa. Quindi tutto deve essere pensato per arrivare lontano. Scegliamo, dalla nostra sacca, un attrezzo con un fusto potente, abbastanza da gestire il peso della zavorra (intorno ai 120 grammi) e dell’esca (un paio di etti) nel modo più semplice e sicuro possibile. Come mulinello in questi casi si predilige il “carro armato” e cioè un modello, magari non troppo leggero, ma con frizione affidabile e una bobina abbastanza capiente da contenere 200, 250 metri di lenza madre dello 0,40. Infatti, la leggerezza è un fattore importante quando si pratica una pesca attiva e dinamica. Ma il serra fishing non è certo una pratica ansiogena. Con questo non bisogna credere che basti lanciare due o tre bocconi in acqua e aspettare con la classica “birretta” in mano. Il controllo degli inganni va effettuato con una buona frequenza ma comunque il tempo che dedicheremo all’azione “canna in mano” sarà sempre molto minore rispetto a quanto succede quando si è alle prese con branchi di mormore, orate e affini. Non c’è una regola che stabilisca quante esche avere in acqua. Tre canne “in pesca” sono un numero ragionevole che ci permette un controllo costante e un ricambio proficuo di esche e parature; tre canne sono abbastanza per sperare di avere attacchi a ripetizione.
Braccioli lunghissimi - Sono due le configurazioni possibili in questo tipo di surfcasting: scorrevole o fisso. In questo articolo ci soffermeremo su una paratura fissa, diverse da quelle descritte solitamente. La propongo con fiducia perché me l’ha spifferata e consigliata Giulio Toni… e se lo dice signor Giulio! Si tratta di ribaltare alcune classiche convinzioni. Partiamo dal fatto che l’esca in questo caso è il “salsicciotto”, un trancio di muggine con, al suo interno, un’anima galleggiante (popup o striscia di polistirolo), innescato con due ami legati a del buon cavetto d’acciaio (da 40 o 50 libbre). Il trancio si blocca e si modella nella sua forma finale utilizzando abbondante filo elastico. È facile intuire che si tratta di un’esca comunque voluminosa; ok, molto meno grande che in passato, poiché adesso stiamo parlando di un boccone non più lungo di 7, 10 centimetri (in passato la dimensione era doppia e si usavano tre grossi ami). Ebbene, anche se utilizziamo ogni tipo di diavoleria possibile per assorbire e scaricare torsioni e rotazioni del bracciolo, questo, in presenza di una pur minima corrente, si attorciglierà sulla lenza del trave. Il bracciolo si vuole attorcigliare? Ma che lo faccia pure! Invece di legare un bracciolo corto a un trave lungo, agiremo al contrario. Fisseremo al trave, non più lungo di 50 o 60 centimetri, un finale di almeno un metro e anche più di lunghezza. Questo sicuramente si avvolgerà un po’ sul trave, ma una buona parte di bracciolo rimarrà libera di fluttuare, mantenendo l’esca catturante e lontana dal fondo. Lontana dal fondo vuol dire anche il più possibile lontana dai famelici “granchi blu”; non un particolare da sottovalutare. Per finire, diamo un ultimo sguardo in dettaglio alla paratura che abbiamo velocemente presentato. Detto che l’esca si blocca su due ami, nelle misure 3/0 o 4/0, ricordiamo che un amo rimane scorrevole in modo da adattare l’inganno alla grandezza del trancio che desideriamo ottenere. Il cavetto d’acciaio avrà una lunghezza di circa 25 centimetri ai quali legheremo almeno un metro di ottima lenza dello 0,50 (meglio se fluorocarbon). Abbiamo tutto quello che ci serve adesso. Non ci resta che scegliere lo spot e aspettare la notte. E si, sembra proprio che questa abitudine i serra non l’abbiano persa: preferiscono aspettare la notte fonda. E noi con loro.
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