Il Misto e la Sfalsata

Il Misto e la Sfalsata

Gli elementi che ostacolano l'azione di pesca nelle tecniche al lancio sono diversi e certamente nel surfcasting sono in buon numero; vedi appunto l'inverno, il buio, il vento, il mare mosso, ecc. ecc.. Non per niente chi si dedica a questa specialità è considerato quasi un superuomo o se volgiamo un matto. In effetti stare tutta una notte in piedi a combattere col vento in faccia non è una cosa che possono sopportare tutti gli umani, soprattutto quando questa pratica si ripete con continuità, sabato sera dopo sabato sera. Rispetto ad altre specialità di pesca con i piedi per terra il surfcasting vanta però una felice peculiarità: il fondo sabbioso. Un elemento questo molto invidiato da chi lancia le esche dagli scogli, viste le continue afferrate sul fondo a cui sono soggetti. D'altra parte, però, il surfcaster è ben conscio del fatto che l'habitat più frequentato dai pesci non sono le interminabili distese di sabbia, ma i fondali variegati con presenza di pietre e vegetazione. Inevitabile quindi una migrazione delle lunghe canne con mulinello verso le spiagge piccole, delimitate da promontori rocciosi ricchi di anfratti, ma soprattutto verso quei litorali, quindi estesi tratti di riva, che alla sabbia alternano piccoli spazi ricchi di vegetazione o roccia. Entrambe le scel-te e i conseguenti scenari, sono motivati dalla maggior presenza di specie ittiche rispetto alla spiaggia pulita, anche se alle difficoltà canoniche si aggiungono le asperità del fondo. Ma, questo, è un problema che chi è abituato a risolverne tre per volta, non ha difficoltà ad affrontarlo e vedremo anche perché. Quel che invece è interessante focalizzare in partenza è in che modo influisce questo nuovo habitat sul comportamento dei pesci.

Pocket beach
Lo scenario, in un caso, è una piccola spiaggia dove la minima distanza tra un'estremità e l'altra non consente un vero e proprio pascolo. Ciò significa che gli animali che vivono nelle secche lontane non vengono attratti da queste onde perché confuse con le tante altre che battono la costa. Quindi la presenza di pesci è dovuta quasi esclusivamente alla popolazione stanziale, cioè agli animali che vivono nelle rocce in prossimità della spiaggia. Va da sé che una volta pescati gli individui che dimorano nelle vicinanze, bisognerà aspettare un nuovo insediamento prima che la zona riprenda a dare frutti. Se quest’aspetto è da considerarsi un limite, gioca però a favore di un tale spot, la facilità di cattura. In uno spazio ristretto è, infatti, piuttosto difficile sbagliare postazione. A volte con poche canne si copre tutto lo spazio disponibile di una spiaggia e quindi... E tanto meno, in tema di attività biologica, si deve avere timore dei pescatori subacquei che in certe aree sono costantemente in agguato. Infatti è col mare mosso che i furbastri inquilini degli scogli mollano gli ormeggi. Il passaggio dei "loschi figuri vestiti di nero" avviene invece col mare calmo, momento in cui il sarago difficilmente abbandona gli angoli più sicuri della tana. Le pocket beach, inoltre, essendo così influenzate dalle rocce laterali rendono meno significativa la presenza sul fondo di alghe ed ulteriori rocce. Queste, infatti, oltre a non offrire sufficiente riparo ai pesci, di fronte ad una vera e propria colonizzazione sarebbero ben presto impoverite, tanto da determinarne ben presto l'abbandono.

 

La sfalsata
La strategia di pesca più originale impone una grande concentrazione ed un lancio potente e preciso, nonché l'uso di più canne. Queste possono essere da due a quattro, meglio tre, a seconda delle singole capacità. Supponiamo quindi di occupare l'estremità sinistra della spiaggia. Le esche vanno posizionate lungo la linea di costa di fronte agli scogli secondo la tecnica sfalsata. La prima canna quindi, sarà piantata a pochi metri dalle rocce e lanciata perpendicolarmente alla battigia a una distanza di circa 30 metri dalla riva. La seconda invece, sarà spostata verso destra di almeno 5 metri ed avrà le esche a 50 metri circa, alla stessa distanza dalle rocce della prima grazie ad un lancio appena obliquo verso sinistra. La terza canna segue in proporzione il lavoro delle altre due, quindi distanza di pesca di circa 70 metri, lancio ancora più obliquo verso sinistra e posizione sulla spiaggia spinta verso destra di altri 5 metri, almeno. La quarta naturalmente segue lo stesso ordine, sempre che si sia in grado di arrivare a 90 metri, altrimenti meglio lasciar perdere. Questa tecnica sfrutta al massimo le potenzialità della pocket beach ma costa molta fatica per il continuo stress che deriva dal sistematico e preciso controllo delle canne.

Litorali
Sulla base di più esperienze si può ragionevolmente affermare che i pesci che arrivano da secche lontane, a meno di esempi rari ed isolati sono, con la semplificazione del caso, in numero proporzionale alla lunghezza della spiaggia. Ecco perché i litorali chilometrici hanno sempre qualcosa in più. La grande estensione giustifica un pascolo vero e proprio, composto tanto dalle prede stanziali quanto da quelle che partendo da luoghi piuttosto distanti, si spostano al primo movimento del mare. È in questo caso che viene garantito il costante ed inesauribile ricambio di animali, sempre che il prelievo significativo sia quello delle nostre lenze. E se è vero che il gran numero di pesci distribuito su una superficie estesa equivale a pochi pesci su una spiaggia piccola, è anche vero che canaloni e fossate costituiscono delle aree privilegiate dove esiste una vera e propria concentrazione di animali. Il fatto che il fondo sia irregolare comporta il rischio di afferrate che spesso costringono al taglio della lenza. Ciò giustifica, già in partenza, un'attrezzatura robusta, tale da consentire un'azio- ne prepotente senza il rischio di rompere anche la canna. Il miglior metodo di operare parte però da un attento esame della spiaggia per individuare le formazioni sub marine dove il piombo potrebbe incastrarsi. Un modo di affrontare un fondo insidioso è quello di lavorare ai margini delle chiazze scure, cioè nelle immediate vicinanze di quegli habitat che si ritiene più ricchi di prede. E c'è naturalmente da credere che una probabile preda non farà fatica a spostarsi di pochi metri, anche una decina, per ghermire l'esca. Il problema è che tale vicinanza rischia continuamente il contatto perché le onde spostano con facilità anche la zavorra più pesante. Il costante controllo delle canne è la prima regola che evita sconfinamenti indesiderati ma altrettanta sicurezza viene anche dall'uso di certe zavorre, stabili per antonomasia, come ad esempio lo spike. Un po' più rischiosa è la tecnica dello scarroccio che prevede l'uso di una zavorra normale non abbastanza pesante da trattenersi saldamente al fondo. Natural- mente è un mestiere che consente l'uso di una sola canna, spesso da tenere in mano e seguire con la massima attenzione. In questo caso il piombo viene mosso dalle onde e si sposta molto lentamente nel senso della corrente. È la tecnica migliore per procurare le doppie abboccate, sia di specie uguali, quanto di specie diverse. Ma, nulla vieta di pescare proprio sopra il tappeto di alghe o il lastricato di roccia. In questo caso le cose sono sicuramente più complicate e i rischi di afferrata molto più elevati. D'altra parte però si va a mettere l'esca esattamente davanti alla bocca delle prede. Prede che spesso sono assai diverse dal sarago o l'orata, una per tutte la corvina. La tecnica migliore risulta ancora una volta quella dello spike. Infatti grazie ai rampini la zavorra si assesta nel punto in cui cade, a prescindere dagli appigli naturali. È il recupero che genera le maggiori insidie. E a tal proposito si giustifica ancora una volta un'attrezzatura robusta e rigida così da richiamare velocemente la zavorra a un palmo sopra il fondo. Una volta che il pesce abbocca il pericolo di afferrata scema quasi a zero. L'amo è in bocca al pesce e non ce ne sono altri. Una paratura indicata per queste situazioni è il classico pater noster, con braccioli corti e alti.