Il Grande Predatore

Le infinite possibilità della pesca in kayak vantano successi inaspettati. Ma solo con la costanza si possono catturare grosse bestie come la super lecca del bravissimo Valerio.

l mare ha sempre qualcosa di nuovo da offrire. Ogni uscita è diversa, ogni cattura ha la sua storia e ogni pescatore sa che dietro l’angolo può nascondersi la sorpresa più inaspettata. Per chi pesca in kayak, tutto acquista una dimensione unica: il contatto diretto con l'acqua, la gestione della battuta e l'arte di bilanciare tecnica e adattamento alle mutevoli condizioni del mare.

Storia - Quella mattina d'agosto, con il mare calmo e il sole già alto, l’obiettivo era chiaro: insidiare i grandi predatori costieri. I pesci serra sono spesso i più attivi e aggressivi sulle esche vive, ma la speranza di allamare una leccia è sempre presente.

L'autore alle prese con un serra di buona taglia.

L’esca - Come sempre, tutto parte dalla traina costiera, indispensabile per catturare esche vive come sugarelli e aguglie. In queste sessioni, però, non mancano mai le sorprese: barracuda, lampughe, spigole e persino ricciole, attaccano spesso gli artificiali in movimento, rendendo questa fase della pesca imprevedibile e divertente. In un’altra battuta, per esempio, mentre trainavo un piccolo artificiale alla ricerca dell’esca, allamai qualcosa di decisamente insolito. Dopo un breve combattimento, mi ritrovai davanti un pesce balestra! Una cattura tutt’altro che comune con questa tecnica, ma il mare è così: quando meno te lo aspetti, ti regala incontri sorprendenti. Solitamente pratico questo tipo di pesca utilizzando due canne leggere abbinate a piccoli mulinelli (misura 3000-3500), con fili sottili e finali in fluorcarbon non superiori allo 0,30. Per la cattura dell'esca utilizzo una filosa di piccoli raglou e minnow, oppure un semplice cucchiaino o un’unghietta. Cerco di mantenere una velocità di traina non inferiore ai 2 nodi, così da permettere agli artificiali di muoversi in modo naturale.

Il balestra, una cattura inaspettata.

Il grande predatore - La traina col vivo è una delle tecniche più emozionanti e efficaci per insidiare i grandi predatori costieri. Dopo aver catturato le esche, come sugarelli, aguglie o occhiate, queste vengono innescate e trainate lentamente, mantenendo un movimento naturale che attira l’attenzione dei predatori. Per la montatura utilizzo il sistema a due ami, con uno scorrevole per adattarla alla dimensione dell’esca. Gli ami variano in base alla specie insidiata, ma solitamente uso misure tra il 2/0 e il 4/0, aumentando fino al 6/0 per esche di grandi dimensioni. Il terminale è composto da un paio di metri di fluorocarbon tra lo 0,40 e lo 0,55, a seconda della limpidezza dell’acqua e della presenza di predatori diffidenti, del tipo di esca, nonché della specie che si intende insidiare. Per i pesci serra, che hanno denti affilati in grado di recidere facilmente il filo, aggiungo un finale in acciaio di circa 10-15 cm per evitare tagli improvvisi. La velocità di traina è fondamentale e varia in base alla forma dell’esca: con esche affusolate, come aguglie, sgombri o sugarelli, mantengo una velocità tra 0,8 e 1,5 nodi. Questi pesci hanno un corpo idrodinamico che gli consente di nuotare meglio anche a velocità leggermente superiori. Con esche più tozze, come le occhiate, preferisco una velocità intorno a 1 nodo per evitare di stressarle e mantenerle vive più a lungo. Anche se è possibile utilizzare un piombo per portare l’esca più in profondità, preferisco lasciarla libera di muoversi in modo naturale. Un’esca viva che nuota senza costrizioni risulta più realistica e attira meglio i predatori.

Il sorriso dice tutto: un cattura e una giornata speciale.

Strike - Quel giorno, uscito all’alba davanti alla costa tra Pisa e Livorno, riuscii subito a catturare diversi sugarelli e qualche bella occhiata, riponendo le esche migliori all’interno della mia vasca del vivo, un tubo portadisegni forato, che traino affianco al kayak. Scelto il sugarello come esca principale, iniziai la traina col vivo a bassa velocità. La superficie del mare era uno specchio, appena increspato da una leggera brezza. Poi, all’improvviso, il segnale tanto atteso: una partenza violenta e il mulinello che inizia a cantare. La potenza della fuga non lasciava dubbi: era un avversario di livello. Il primo scatto fu devastante, con la frizione che rilasciava metri di filo mentre il pesce puntava deciso verso il largo, trascinando il mio kayak. Il combattimento fu intenso, fatto di ripartenze improvvise e momenti di recupero, opponendosi, la leccia, con la forza tipica di un predatore di queste dimensioni. Poi, finalmente, la sagoma argentea apparve sotto il kayak: una Lichia amia, maestosa e combattiva fino all’ultimo che, stremata dalla lunga battaglia, trovò comunque la forza per un’ultima breve fuga prima di tornare in superficie, esausta. A quel punto, afferrandola saldamente per la coda, riuscii a portarla a bordo, coronando così una cattura che sognavo da tempo.

La seppia, un cefalopode che in cucina sa dare soddisfazioni quanto a pesca.

Eging invernale - Con l’arrivo dell’inverno, l’attività dei grandi predatori diminuisce e la pesca assume una nuova dimensione. In questo periodo mi concentro sull’eging, una tecnica efficace per insidiare cefalopodi come seppie e calamari. Rispetto alla traina col vivo, è un approccio più statico ma altrettanto tecnico, che in kayak pratico principalmente a scarroccio, lasciando che il lento spostamento naturale permetta all’artificiale di sondare ampie aree di fondale. Alternando piccoli movimenti della canna e pause, l’egi affonda gradualmente, attirando l’attenzione delle prede. Le condizioni ideali per l’eging sono mare calmo o leggermente increspato, con buona visibilità dell’acqua; le zone migliori sono le aree del sottocosta con fondali prevalentemente sabbiosi, dove c’è meno rischio di incagli e i cefalopodi trovano un ambiente ideale per la caccia. Le seppie rappresentano la cattura più frequente, mentre i calamari, più attivi nelle ore notturne, sono sempre una piacevole sorpresa.

Valerio maneggia il grosso polpo.

Di tanto in tanto, capita anche di allamare un polpo, che con la sua forza e resistenza regala un combattimento particolare. Anche se meno adrenalinica della traina col vivo, questa tecnica ha un fascino tutto suo: richiede pazienza, osservazione e un buon adattamento alle condizioni del mare.