di Fabrizio Schirru - Il calamaro è un animale di cui la scienza conosce poco: questo mistero mi ha incuriosito e portato a studiarlo per adattare la pesca tataki, nata nel lontano Giappone, al nostro mare. I primi approcci alla pesca al calamaro risalgono a diversi anni fa: i vecchi pescatori utilizzavano le totanare spagnole facendo lunghe scarrocciate in prevalenza in orari notturni. Con l’avvento della pesca tataki, e quindi degli artificiali oppai, si è passati dalla pesca al buio a quella diurna, risparmiandoci gelide nottate. Altro particolare è che la pesca al calamaro era vista in gran parte, in funzione del reperimento esche per la traina, mentre oggi la pesca tataki è una tecnica riconosciuta in cui tanti appassionati si dilettano per il puro divertimento di prendere i cefalopodi. L’evoluzione nasce nel 2015, in occasione della prima manifestazione di pesca al calamaro in Italia: il Tataki day di Matti per la pesca. Da agonista mi chiedo come ottimizzare le 5 ore di gara e fare un carniere più ricco rispetto al solito. Il pensiero va subito al tempo che si perde nelle lunghe scarrocciate, quindi la decisione di pescare sempre col motore acceso, con occhio fisso e attento sull’ecoscandaglio, alla ricerca di calamari e pesce foraggio, calando le esche in modo preciso e rapido. Un’altra strategia utile è stata quella di utilizzare 5 artificiali invece dei soliti 3 previsti dai travi in commercio: avere un trave con più esche consente infatti non solo di prendere più calamari contemporaneamente ma anche di trovare più velocemente i colori graditi al cefalopode con le condizioni del momento. Queste piccole varianti hanno dato i risultati sperati sia nella pesca di tutti i giorni che in ambito agoni- stico con la vittoria di svariate manifestazioni in più parti della Sardegna.
I vantaggi di queste strategie hanno avuto tempo breve perché la concorrenza non è stata a guardare e si è subito adattata a questo nuovo modo di pescare. Così, il tasso tecnico dei pescatori cagliaritani si è impennato di colpo, e lo si può notare dai carnieri fatti giornalmente e nei risutati delle gare: nella prima manifestazione si è vinto con 24 prede mentre nelle ultime manifestazioni non si è più al sicuro neanche con 50 cefalopodi. Con mio grande piacere ho notato che ogni anno i pescatori che fanno questo tipo di pesca e che hanno voglia di partecipare alle manifestazioni sono sempre di più, a dimostrazione che la pesca tataki è diventata una tecnica a 360 gradi. Anche le attrezzature, vedi canne e mulinelli, si sono evolute: ho partecipato personalmente alla progettazione di tre attrezzi tecnici per la pesca tataki che hanno riscosso un grande successo e hanno aiutato a migliorare l’azione di pesca di tanti appassionati. In ultimo, ma non per importanza, abbiamo lasciato i nostri amici artificiali: io ne utilizzo tantissimi, di svariate marche, tra cui Yamashita, Dtd, Seika e i sardissimi Mataki. L’errore più grosso in questa pesca è quello di fissarsi con un artificiale in particolare, con un colore specifico o di una sola marca. Il mollusco cambia le sue preferenze in continuazione. La strategia vincente è dunque avere svariate esche e cambiarle in continuazione fino a quando non si troverà il colore giusto per la situazione che potrebbe però cambiare da un momento all’altro. Altra parte fondamentale di questo gioco è l’utilizzo della strumentazione che equivale ai nostri occhi sott’acqua: più la strumentazione è di alto livello e maggiore è la nostra padronanza nell’utilizzo, più sarà semplice trovare lo sfuggente calamaro. Personalmente utilizzo strumenti Furuno che sono rinomati per essere i migliori strumenti per la ricerca del cefalopode.
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