I Magnifici Dieci
L'artificiale è l’elemento fondamentale di questa tecnica di pesca, ne caratterizza l’azione e in base ad esso si sceglie la canna e il mulinello più adatti. Stiamo parlando dell’esca, artificiale chiaramente. Il nome stesso della tecnica, spinning (dall’inglese to spin = girare, roteare, frullare…) pare si riferisca al movimento impresso all’esca. Infatti, agli albori della tecnica, l’artificiale era sostanzialmente una piccola piattina di metallo munita di ancoretta, lo spoon, in Italia più noto col nome di “cucchiaino”. Una piccola esca che durante il recupero ruota intorno al proprio asse in un tripudio di luccichii e bagliori. A differenza di altre tecniche che prevedono l’utilizzo di più canne contemporaneamente, panchetti, picchetti, cassoni, stendi travi, serbidora, secchi con pasture e quant’altro, lo spinning si fa con una sola canna, un solo mulinello e un mazzo di esche finte. Il “parco artificiali” assume un ruolo ancor più importante, innalzandosi in questa tecnica a vero elemento su cui concentrare tutta la nostra attenzione. Per mantenere una configurazione parca e razionale e quindi non disattendere la vera essenza e la filosofia dello spinning, è meglio avere con sé un piccolo zainetto con all’interno solo gli artificiali che pensiamo siano i più adatti al momento. Viaggiare leggeri ci permette di muoverci tra più spot senza dover ogni volta “subire” un trasloco. Ma siccome nel tempo, l’esercito di esche a nostra disposizione aumenta inesorabilmente, ogni volta che entriamo in un negozio di pesca, complice la bellezza di molti esemplari che prima di tutto catturano la nostra attenzione, al momento di incamminarci verso gli spot di pesca è necessaria una selezione che ci permetta di escludere i modelli meno adatti.
I magnifici dieci
Facciamo un gioco. Dieci, vediamo come impostare un’uscita con dieci artificiali. È chiaro che questa non vuole essere una legge, un diktat assoluto da talebani. Vediamola come una sfida per migliorare il feeling con un gruppo ristretto di esche, una sfida per migliorare la conoscenza dello spot, una sfida per migliorare le nostre capacità di sfruttare poche cose, l’essenziale. Una sfida quindi… per migliorare. Dieci, non troppi, ma sufficienti. Visto il periodo, febbraio e marzo, immaginiamo una spiaggia o una foce, spinning alla ricerca di qualche bella spigola invernale. Analizzeremo un’uscita che inizia all’alba, quando ancora le stelle ci cadono in testa ma verso est il cielo diventa azzurro. In questo modo saranno tre le fasi da affrontare: buio, penombra e primo sole. E allora, rialziamo la posta, tra i dieci, tre per il buio, tre per l’alba e tre per il giorno; ne rimane uno, il jolly che non deve mai mancare.
I colori della notte
Ok, partiamo con i tre artificiali “notturni”. Immaginiamo la situazione. Non è ancora iniziata l’alba, l’aria frizzante ci ricorda che questa, in media, è l’ora più fredda di tutto il giorno. L’obiettivo spigola ci impone un comportamento riservato: niente luce, o lo stretto indispensabile per evitare di farci del male o metterci in una situazione di pericolo. Meglio se l’artificiale d’attacco lo fissiamo al moschettone quando ancora siamo lontani dallo spot. Sembra un’esagerazione ma non lo è. Una possibile strategia prevede l’utilizzo di due minnow e una gomma. Le palette muovono l’acqua, fanno vibrare l’artificiale e lo portano più in profondità, tre fattori tutti positivi. In più le vibrazioni prodotte dalla paletta del minnow trasmettono alla punta della canna la situazione della corrente, la presenza di ostacoli e la forma del fondale; al buio queste sono informazioni preziosissime. Con recupero costante, quando l’artificiale nuota in corrente, lontano dal fondo, le vibrazioni sono continue e con frequenza massima; quando tocca il fondo, cessano le vibrazioni e sulla punta della canna si sentono dei colpetti, generati dalla paletta che tocca terra. Nessun’altra esca è in grado di fare altrettanto. Visto che abbiamo “ben” due possibilità, opteremo per un minnow con lunghezza intorno ai 7 centimetri e peso non maggiore di 10 grammi, a cui affiancheremo uno appena più lungo e più pesante, se decidiamo di lanciare più lontano. La terza scelta, ma non per merito, è una gomma. Se vogliamo lanciare la gomma in corrente è meglio dotarla di testina piombata, altrimenti nuda e cruda. Il recupero della gomma prevede lunghe pause, piccoli saltelli prodotti con l’innalzamento della punta della canna, recuperi lenti generati da pochi giri di mulinello. La gomma è indispensabile se lo spot è “sporco”, con detriti e ostacoli sul fondo, alghe o piccoli pezzi di legno. L’unico amo, spesso con la punta immersa nella gomma, minimizza gli incagli. Per quanto riguarda i colori, al buio meglio scegliere tinte vivaci e molto chiare.
Alba imperdibile
È arrivato il momento delle tre scelte per l’alba. Questa è la fase più importante, quella che in percentuale regala di gran lunga il maggior numero di attacchi. Il sole è ancora sotto l’orizzonte ma la sua luce ci permette già di orientarci e osservare il paesaggio circostante. Adesso possiamo scegliere dove lanciare senza affidarci alla memoria di pescate precedenti. Cerchiamo la schiuma, la corrente, l’acqua torbida, le situazioni che insegue anche la spigola. Lanceremo un minnow, un darter e una gomma. Lo stesso piccolo minnow usato in precedenza, magari adesso con una colorazione più naturale. Che poi il colore, quando si pesca nella schiuma e nel torbido è l’ultimo dei parametri da scegliere. Come darter (artificiale che, al posto della classica paletta presenta una “mascella” molto allungara), un piccolo modello, ridotto ma solo nella lunghezza: diciamo 10 centimetri per 14 grammi o poco più, quindi in grado di arrivare lontano nel lancio. Il darter ha come caratteristica principe quella di nuotare appena sotto il pelo dell’acqua. All’alba è utile per capire se le spigole attaccano più o meno in superficie. L’ultimo artificiale è ancora una gomma, da usare nelle fossate con lanci di precisione e il solito recupero lento, lentissimo.
Sole, ultima chance
Se qualcosa doveva succedere, ormai è successo. Con il sole alto la spigola non manifesta quasi mai una voglia pazzesca di attaccare. È arrivato il momento di sfoderare esche che inducano l’attacco. Iniziamo in top water, con un wtd che abbia un nuoto molto scodinzolante, abbastanza da aggredire l’acqua ad ogni virata con evidenti spruzzi. Gli attacchi in superficie sono i più spettacolari ma anche i più rari. Con il sole si può lanciare anche in punti dove non osavamo con la flebile luce dell’alba. Una piccola gomma, con amo dotato di anti incaglio è l’opzione più adatta e se vogliamo anche la meno costosa, visto che in genere il prezzo di una singola gomma è molto minore di quello di un comune artificiale in plastica dura. La terza scelta è ancora un darter, questa volta appena più grande di quello scelto per la fase precedente. Sempre pensando a una pesca di induzione, useremo questo modello con recuperi veloci, con frequenti stop and go. Un modello “o la va, o la spacca!”.
Mi gioco il jolly
Bisogna sempre avere un “piano B”, un’alternativa quando le cose sembrano andare per il verso sbagliato. In questo caso il nostro jolly, l’ultimo artificiale dei magnifici dieci è un’esca che con la pesca alla spigola centra ben poco: il needle. Lungo, affusolato e mediamente pesante, il needle è una esca di superficie che difficilmente cattura spigole ma è micidiale con barracuda e soprattutto serra. Lanciare un needle quando il sole è già alto non è affatto l’ultima spiaggia. Con mare piatto o appena formato, se la giornata è soleggiata, questa esca incuriosisce anche le grosse lecce che sappiamo essere più frequenti vicino alla costa in autunno, ma presenti comunque sempre, anche se sporadiche. Un needle, recuperato veloce, con alcuni stop improvvisi, può rivelarsi l’arma vincente, il jolly vincente, proprio quando, dopo tante ore infruttuose, sembrava impossibile vedere un attacco.
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