I Cius del Maestro
Si tratta di una piccola imbarcazione, con lunghezza variabile tra i 4 e i 6 metri, dotata di un forte insellamento, con chiglia piatta e poppa e prua aguzze. Ha uno scafo a spigolo vivo con due o quattro scalmiere (molto particolari) costruite in modo tale da allargare e sollevare la posizione del remo, per rendere più agevole la voga. Ha uno o due banchi e un semiponte con due sponde, per contenere le reti e gli attrezzi da pesca. Il fasciame era costituito da tre o quattro corsi di tavole, due corsi di serrette internamente e una robusta cinta. Spesso avevano un pagliolato mobile e una robusta traversa, che serviva al vogatore, per puntare i piedi e fare forza. Utilizzato in principio per la pesca con la lampara, a prua si trovava lo spazio per il fiociniere, con una paratia che impediva al pescato di invadere tutto lo scafo. La propulsione era esclusivamente a remi. Più tardi si pensò di dotarle di un motore fuoribordo, posto in un pozzetto al centro dell’imbarcazione e, successivamente, spostato a poppa e racchiuso in una specie di camera formata dallo specchio di poppa e dal prolungamento dei corsi di fasciame superiori, opportunamente sagomati. Questa versione è quella che, a mio parere, rende questa imbarcazione unica e l’apertura con la sua classica sagomatura le conferisce una caratteristica estremamente valida dal punto di vista pittorico. Poiché i cìus sono i miei soggetti preferiti, ultimamente, ho cercato di avere qualche informazione in più sulle sue origini e sulle caratteristiche di questa barca, parlando con alcuni proprietari di queste imbarcazioni. Questo mi ha portato a imbattermi in cìus costruiti in vetroresina. Queste nuove costruzioni sono niente di più insignificanti e brutte da vedere, sotto tutti i punti di vista. Questa mia curiosità mi ha spinto a cercare di avere più informazioni presso i vari maestri d’ascia presenti a Sant’Antioco e a Marceddì, con la speranza di trovare informazioni incoraggianti sul futuro di questo tipo di imbarcazione.
Oggi a distanza di anni, e con altre centinaia di dipinti del cìu tradizionale in legno, mi sono deciso di approfondire la mia ricerca andando a Sant’Antioco, presso il cantiere nautico dei fratelli Antonio e Nazzareno Balia, che hanno ereditato l’attività dal padre Giulio, un prestigioso maestro d’ascia, certamente il più qualificato di Sant’Antioco, l’unico in Sardegna ad aver ottenuto il riconoscimento ufficiale per meriti professionali dal Ministero della Marina Mercantile. La visita al cantiere e la chiacchierata con i fratelli Balia sono state interessantissime. Da loro ho potuto raccogliere preziose informazioni sulla costruzione del cìu e sulle tecniche di costru- zione dei pescherecci in legno. Ho visto però anche tanta tristezza nei loro occhi. Ho appreso che, in pratica la costruzione dei cìu e dei gozzi in legno si è ridotta tanto da poter considerare “evento eccezionale” la costruzione di una di queste barche. Sembra che nessuno voglia più possedere scafi in legno. Anche i “barchini”, che hanno in pratica sostituito i cìu, pur mantenendo il fondo piatto anche se dotato longitudinalmente di una corta chiglia e lo scafo a spigolo, non hanno più insellamento, sono molto più larghi, hanno una poppa a specchio e scalmi e remi sono a bordo solamente perché imposti tra le dotazioni di sicurezza. Lo scafo è realizzato in compensato marino, niente più fasciame. L’impressione che ho avuto è quella di un “ferro da stiro”. Certamente molto funzionale, per il tipo di pesca che dovrà esercitare, ma piuttosto brutto esteticamente. Una barca che non dipingerei mai. La chiacchierata con i fratelli Balia si è completata mostrandomi centinaia di dime relative a scafi che ormai non si costruiranno più. Un patrimonio importante che andrà irrimediabilmente perso, quando i due fratelli decideranno di smettere di praticare la loro arte. Non ci sono più giovani che desiderino apprendere questo nobile mestiere e la burocrazia e le leggi sul lavoro, non aiutano certamente l’assunzione di giovani apprendisti. Un mestiere e un sapere che scompariranno con loro. Ho provato tanta tristezza e quando sono uscito dal cantiere, sono subito corso sul lungomare per documentare fotograficamente i miei vecchi cìu, quelli che non smetterò mai di dipingere e che, purtroppo, sono destinati a scomparire
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