Evoluzione Serra
Un primo impercettibile movimento della punta della canna. Poi, per pochi attimi, torna la calma. Ma ecco che adesso il fusto si piega, ben oltre gli anelli apicali. Il mulinello cede lenza a una prima fuga portentosa. Il tempo di raggiungere il picchetto e inizia la giostra. Forse è proprio in questa breve e convulsa prima fase del recupero di un serra che si racchiude la fortuna di questa pesca. Tutti, ma proprio tutti quelli che hanno avuto la possibilità di provare l’ebbrezza, confermano che non si tratta di una tecnica “di fino”; eppure l’esplosione di sensazioni che si provano in quei primi attimi, dà quasi dipendenza. Agli amici continuiamo a ripetere: “Ma no, ci vado una o due volte all’anno… giusto per togliermi lo sfizio…”. Sì, come no! E poi c’è la frequenza delle catture, un fattore per niente da sottovalutare. Anni fa, con i giusti accorgimenti, tutti potevano portare a casa il trofeo. Una volta scoperto lo spot, imparato a preparare il boccone e preso familiarità con il lancio, le catture erano molto frequenti e spesso anche abbellite dalla stazza della preda, enorme. Anni fa, certo, ma adesso le cose sono cambiate.
“Le dimensioni dell’esca non aiutano a lanciare lontano, ma spesso è proprio lì che nuotano i serra. Diminuire la sezione del filo in bobina aiuta, ma bisogna trovare un compromesso con l’importante carico di rottura richiesto”.
Adattarsi ai tempi
La festa non è finita, ma diciamo che ormai anche il “serrafishing” ha trovato una dimensione più sobria. Intanto, le catture difficilmente superano i 5 chili, esemplari da tre sono accolti con soddisfazione, ma la media delle prede è appena sopra il chilo. Figuriamoci i “mostri” che sfioravano i 10 chili, cattivi e bruttissimi, capaci di incutere timore con quel particolare rigonfiamen- to del muso, tipico solo degli esemplari XXL… oramai sono pressoché spariti. La taglia più piccola ha imposto l’utilizzo di un’esca proporzionata. Fino a poco tempo fa il classico boccone era composto da un grosso salsicciotto, ricavato da un muggine sfilettato e armato con ben 3 ami del 4/0 (minimo) legati su filo d’acciaio. La base è rimasta la stessa, il trancio di muggine, a volte alternato con quello di mormora (appena pescata), o di spigola, quando al mercato si trovano offerte economicissime. È invece cambiato il numero degli ami: uno, massimo due e di misura contenuta e in media del 1/0. Per portare in sospensione l’esca si utilizza un po’ di polistirolo che rimane nascosto all’interno del boccone, chiuso da un bel po’ di giri di filo elastico. Il terminale in acciaio deve essere preparato con cura. Difficile dire se i serra siano diventati più sospettosi. Di fatto il numero di strike aumenta se si nasconde il più possibile l’inganno. Il filo d’acciaio deve sporgere non più di un dito dal trancio e si collega, con una robusta girella, a almeno 50 centimetri di fluorocarbon dello 0,40. Rimane un’ultima scelta da effettuare: paratura fissa o scorrevole? La seconda al 90% e cioè quando il mare è piatto, l’acqua trasparente e si decide di attendere che il ser-ra ingoi l’esca, prima di ferrare. Ma in alcuni casi e cioè quando vediamo che gli attacchi a vuoto si susseguono con snervante frequenza, è meglio puntare sulla paratura auto ferrante. Il serra, in queste situazioni, morde il salsicciotto con prudenza e fugge via; ma se il piombo non permette la fuga, l’amo si aggancia alla bocca della preda.
L’asso nella manica
Da sempre prevista come possibile preda valida nelle gare di pesca (anche con l’utilizzo del filo d’acciaio), in ambiente agonistico la cattura del serra è stata per troppo tempo snobbata. C’è un motivo, nelle gare a picchetto premia sempre il numero di catture, quasi mai la loro stazza. Il bonus preda sacrifica il prestigio della cattura da copertina, giustamente premiando chi riesce a trovare il pesce in qualsiasi situazione. Si basa quindi l’azione di pesca sul ritmo, la tecnica e la capacità di adattamento alle condizioni puntuali del momento. Un solo grande pesce viene quasi sempre surclassato dal punteggio prodotto da tanti piccoli. E l’agonista bada solo a questo; anche se è riduttivo affermare che conta solo vincere, pur di gara si tratta e quindi bisogna fare tutto il possibile per primeggiare. Ma nelle ultime stagioni il serra ha iniziato ad essere considerato anche in gare a picchetto. La taglia è diminuita, certo, ma adesso i “serrotti” nuotano in branco. Se c’è la possibilità di pescarlo senza rallentare l’azione… perché no?! A conferma di tale teoria, lasciamo che parlino i fatti. Esempio ne sia l’ultimo Magrini, una gara di caratura internazionale alla quale partecipano fortissimi agonisti. Quest’anno è stato vinto dall’espertissimo Manuel Chessa che ha avuto il coraggio di sdoganare il serrafishing, sfruttando la tecnica per vincere il prestigioso trofeo. Alcune volte si tratta di catture fortuite, strike che avvengono su parature dedicate a ben altro. Ma sempre più spesso, acciaio e trancio trovano il loro spazio nell’arsenale del pescatore evoluto. E poi, diciamolo, piace a tutti vedere la canna piegarsi e andare giù, quasi a toccare il mare; chi può dire di non rimanere incantato dal suono della frizione messa a dura prova dalla fuga di un serra? Nessuno, dai!
Commenti ()