David Croselli

Abbiamo scoperto di recente, attraverso il vissuto di Stefano Claut, le sorprendenti meraviglie dell’Adriatico orientale, in particolare quelle croate dall’Istria alla Dalmazia. Meraviglie subacquee, viste naturalmente con l’occhio del cacciatore, anche agonista. E ci riproviamo anche questo mese grazie a David Croselli. Classe 1990, David nasce a Sempeter (San Pietro), un piccolo borgo sloveno, al confine italico, ma sta di casa a Doberdò del lago, mille anime o poco più, a un passo da Ronchi dei Legionari e Monfalcone. Insegnante di matematica e scienze, oggi, sposato con prole, vive felicemente a Gorizia. Per lui il mare è sinonimo di Croazia, di vacanze e campeggio. Ma anche d’immersioni e pescasub. I ricordi di gioventù lo riportano a quando aveva 10 anni e raccoglieva conchiglie immergendosi in acqua bassa. O quando pescava con la lenza in mano e un po’ di mollica sull’amo che non perdeva mai di vista. La testa era immersa e tirava su di scatto, solo quando vedeva chiaramente che il pesce ingurgitava il boccone. Poi, da ragazzetto, avrà avuto 14 o forse 15 anni, ricevette in dono da un amico una muta subacquea, passo che lo introdusse alla pesca del polpo con la fiocina. Poi, a sedici anni, ottenne il permesso di pesca in Croazia.

Quindi? Quindi il mare e la pesca in apnea, continuava a essere un’esperienza estiva, quando con tutta la famiglia andavo in campeggio per le ferie. Il mio vicino di roulotte, un signore paziente e disponibile, mi faceva da tutor e io solo guardando i suoi movimenti imparavo. Una scuola di qualche anno, arricchita da un corso con Apnea Academy, durante la quale, però, pescai una leccia di 13 chili. In quell’occasione ero da solo. Non scendevo in mare da una settimana. Mi trovavo a Baska, nell’isola di Veglia, a sud. Giornata strana, senza movimento già da diverse ore. Quasi scoraggiato e senza più speranza di svoltare, si aprono tante mangianze che… Tento l’ennesimo aspetto su un fondo di sabbia mista a roccia, in 10-12 metri d’acqua, nascosto in parte. Una leccia mi coglie impreparato, e scorgerla così vicina, addirittura mi spaventa. Lei per reazione si allontana ma non fugge. Tento il riaggancio e una volta a tiro sparo col nuovo fucile lungo e col mulinello. Per me è stata una grande soddisfazione, una riappacificazione col mare che sembrava volermi premiare. Un regalo di consolazione per le ore spese sott’acqua senza vedere un pesce. E non è finita perché al rientro in spiaggia sono accorsi tanti turisti che tra un complimento e l’altro hanno scattato una marea di fotografie.

Un evento importante? Beh, mio padre decide di comprare un gommone, piccolo con un 15 cavalli, che tenevamo alla boa, in campeggio. Da qui, ho iniziato a pescare un po’ di tutto, in autonomia, tanto che a 26 anni mi faccio coinvolgere nei circuiti agonistici per almeno tre anni.

Com’è andata? Esordii nel 2016 alle selettive. Arrivai secondo ma non mi qualificai perché c’era posto solo per il primo. Andò meglio nella stagione successiva, così nel 2018, a Santa Marinella, agguantai un ottimo secondo posto, dietro La Mantia e davanti a De Mola. Ero felicissimo. Nella prima giornata non sbagliai nulla, pescando anche pesci non segnalati. Ma la seconda manche peccai d’inesperienza e così sfumò la vittoria. Nel 2019, ammesso alla prima categoria, partecipai a Marsala agli assoluti, alle secche del Biscione, di fronte a Petrosino, a una decina di miglia dalla costa. Un campo gara impegnativo, ricco di pesci, ma battuto dalle correnti. Purtroppo la preparazione non andò bene e io mi persi in overtraining per il fiume d’acqua che si muoveva a 2-3 nodi. Era una gara da impostare sullo scorrere ma io sbagliai andando a segnale. Risultato? Scivolai in fondo alla classifica. Poi ci fu lo stop per il Covid, ma io non ripresi a fare gare. Solo un campionato italiano a squadre a Santa Marinella, nel 2020, con Stefano Claut e Andrea Cernuta, fu argento.

Il podio di Santa Marinella al Campionato italiano di seconda nel 2018. Al centro Roberto La Mantia, a sn Giacomo De Mola, a dx, David Caroselli.

Una cattura che ricordi? Sono veramente tante, ma forse questa di qualche settimana fa, mi ha dato soddisfazione più di altre. Ero all’Elba con Stefano. Una giornata tranquilla, finché scorgo una cernia fuori dalla tana. Mi avvicino lentamente, lei si gira e mi guarda. Riprende a muoversi e io continuo la discesa a foglia morta. Lei si rigira e mi guarda di nuovo, senza scomporsi. Arrivo a tiro ancora senza muovere le gambe, lei si gira e espone il fianco. Io sparo e la riporto su, nello stesso tuffo. Una cattura perfetta, impegnativa, veloce ma emozionante. Pesava 11 chili.

Un altro pesce? In Croazia, sempre con Stefano, e Enrico. Stefano si catapulta in acqua non appena si ferma il gommone e in un millisecondo risale con un dentice di 3 chili. Vista l’antifona, decidiamo di comune accordo di continuare a fare aspetto ai dentici. Ma, dalle 9 alle sei di sera, non prendiamo un pesce. Stefano propone di fare un po’ di navigazione (tre quarti d’ora) e arrivare alla casa delle corvine, grosse corvine. Ci sembrava un azzardo ma lui insiste, è irremovibile e così… Finita la gita, ci caliamo in acqua, lui lì, noi qua. Ma di pesci neanche l’ombra e poi il fondo non era invitante, quasi privo di tane. Facciamo altri 3 o quattro spostamenti, tutti senza risultato. Così decidiamo di fare l’ultimo tuffo. Questa volta scorgo una sagoma che lasciava la sabbia per avvicinarsi a una tana. Era un cappone. Volevo fulminarlo ma con uno scatto si allinea a un altro cappone. Ero pronto e sparo, praticamente sull’uscio di casa. Mentre recupero i due, tre chili in tutto, mi rendo conto che a chiudere il filotto c’è un astice che al peso segnava 3 chili. Grande prestazione, ma anche grande preoccupazione per l’arrivo di una perturbazione, un muro di pioggia e nuvole. Per fortuna non ci sono stati imprevisti.

no comment

Un aneddoto? A maggio dello scorso anno vedo una figura con la coda dell’occhio, a 12 metri. D’istinto mi sono affacciato, sparo, e scopro che era una cernia. Ma l’ho sparata dalla coda verso la testa e per questo non riuscivo a estrarla dalla tana. Quindi trovo un’altra uscita 5 metri più profonda, ma certamente collegata alla mia cernia per la presenza di sospensione. Così mi vengono in mente le parole di un vecchio pescatore circa le sue avventure in Grecia secondo il quale la cernia non rimane in tana se deve morire. Così mollo la trazione, nella speranza che il pesce conscio della sua debole salute, cerchi di abbandonare la tana dall’uscita più profonda. Così è stato. Pesava 4 chili. 

Quale tecnica preferisci? Da sempre sono stato aspettista e ho sparato solo dentici. Sono arrivato alla tana molto tardi per esigenze agonistiche. Oggi però pesco in tutti i modi fino a 40 metri. 

Ultime due battute? Una cattiva e una buona. Ovunque sia andato ho sempre visto rifiuti sul fondo. La buona: negli ultimi anni le cernie stanno ripopolando le acque su al nord, soprattutto in Istria: sono piccole ma tante.