Dalla laguna al mare. Sempre in quell'area magica dell'oristanese, dentro e fuori dal Golfo. Oggi, Daniele ha un unico obiettivo, dichiarato: andare in caduta sulla tana di una cernia.
Dal Dopoguerra e fino al 1995, a Sa punta e s’anei (la punta di sabbia, per gli arcidanesi), sulle sponde della laguna di Marceddì, sorgevano diverse decine di casotti, più o meno come quelli del Poetto, forse meno colorati, che ospitavano d’estate alcune famiglie dei paesi vicini. Qualche anno, prima della “piazza pulita”, Daniele Mannai, classe 1981, da San Nicolò d’Arcidano, ma ben presto iscritto tra i cittadini di Terralba, il cui nonno possedeva uno di quei ricoveri, iniziava, proprio da quella punta, a intraprendere le sue scorribande subacquee o parasubacquee, alle spese di arselle e bocconi. Agli esordi contava appena 8 anni, ma non ci volle molto perché si armasse di una fiocina e della speranza di trovare qualche muggine a pelo d’acqua. Così, tra una gita in gommone e un retino semi pieno, Daniele matura una gavetta dai toni chiaroscuri, soprattutto per la perenne scarsa visibilità subacquea, mai superiore ai due metri. Finita l’epoca dei casotti, ormai quattordicenne, il promettente giovanotto supera i confini dello stagno e a seguito del padre fa esperienza in mare, nel ricco golfo di Oristano e in particolare a Sassu, con 2 metri d’acqua, alle uscite 8, 10, 12…, sull’erba, per spigole e cefali.
Un aneddoto? Sì, certo. Al muro della 30, è successo che più o meno a 16 anni, armato del mio fucile, catturo, in mezzo metro d’acqua, la mia prima preda pesante, una spigola di un chilo e mezzo. Ma la cosa più importante per me è che quel pesce mi ha cambiato. Mi ha sviluppato una passione inaspettata, esplosiva e irrefrenabile. E poi? E poi, dopo qualche anno ho voluto supportare questa passione anche fuori dal mare, in piscina. Mi sono iscritto a un corso di apnea a Oristano con Michele Avaro. Un’esperienza indispensabile. La respirazione… il confronto con i colleghi… la perfezione dei movimenti. Il tutto si è tradotto in una buona dose di sicurezza, cosa che forse anche senza saperlo a me mancava. Inoltre ho guadagnato un compagno di pesca (Michele) con cui ho condiviso bellissime avventure fino ai miei trent’anni. La tua tecnica? Escluso il periodo giovanile, sono stato fondamentalmente un razzolatore entro i 20 metri. Planavo su cernie, corvine e saraghi. Poi, nel 2010, mentre Michele si trasferisce in un altro continente, io m’iscrivo al Cas Sinis, un circolo sportivo subacqueo di Oristano. Tra le tante nuove conoscenze, con Luca Porcella, anche lui di Terralba, si è instaurato un certo feeling e così tuttora siamo compagni di pesca. Siamo cresciuti insieme a Alberto Liscia, anche seguendo gli insuperabili video del Maestro, quel Giorgio Dapiran di cui ho avuto il piacere di leggere molte pagine proprio su Mondo Pesca. Poi “you tube” e Gianfranco Loi, anche all’epoca della sua esperienza commerciale. Definire il mio stile di pesca, oggi non è semplice. Posso dire che non mi sento un profondista e che mi adatto alle situazioni. Ma volendo scegliere un’etichetta, la più vicina è il razzolo. Infatti pesco in genere in libera, intorno ai 30 metri e per raggiungere i 40 uso la zavorra.
Le tue zone? Adesso pesco prevalentemente a su Pallosu, nell’estremità settentrionale della penisola del Sinis. Mi piace molto perché è una zona ben frequentata dalle cernie. Così come Capo Mannu, gli scogli di Maestrale, più a sud il Muro bianco come noi chiamiamo la falesia di Tingiosu, a sud di Putzu Idu. Sono zone con molto grotto anche alto, a volte tre metri, e con molti saraghi che spesso sorprendiamo a godersi l’ombra e corvine, grosse corvine. Ma lo spettacolo più emozionante sono le cernie che cacciano. Tra Capo San Marco e Capo Frasca ci sono delle risalite che arrivano fino a 15-16 metri dalla superficie. Qui s’incontrano i pesci di passo, ma anche corvine e saraghi, perlomeno dove cresce fitta la vegetazione. In passato ho frequentato Santa Teresa Gallura, quando ancora ci si poteva immergere senza limiti spaziali. Poi la zona di Olbia: Capo Figari, Porto Cervo, Le Bisce. Ancora Castelsardo e il Mare di fuori a Stintino. Infine Sant’Antioco, bellissimo posto che però è diventato un po’ impegnativo perché le quote operative sono sempre più profonde.
Hai fatto agonismo? Si, ma senza troppa convinzione e quindi con risultati non entusiasmanti. Non sono mai stato un tanaiolo, inoltre la cernia non fa parte delle specie catturabili. Diciamo che la gara impone uno stile di pesca che non mi è congeniale. Alla fine ho smesso, nel 2017, dopo una selettiva in Costa Verde. Un pesce importante? Certamente un tonno, nel 2011. Quando ancora i banchi del rosso di passaggio erano importanti e le mangianze impressionanti. Mi trovavo a 15 miglia al traverso di Capo Frasca e come si faceva allora, piombo a manetta sul banco di pesci, individuato grazie alle nuvole di uccelli che volteggiavano impazziti a pochi metri dalla superficie del mare. Mi tuffo in mezzo a quel ribollire di scie e prima di sparare, immerso nel vortice di tonni che mi giravano intorno, mi emoziono per lo spettacolo. Poi, conscio del fatto che sarebbe stato impossibile catturare uno degli over 200, punto al medio, stimando il peso di quello predestinato tra i 40 e i 60 chili. Poi lo sparo, la fuga impazzita, il rumore del mulinello e il cuore che batte a mille. Alla fine vinco io. Era un tonno di 45 chili. Purtroppo oggi, quella pratica che era nel suo periodo abbastanza frequente, non si ripete più, non con quella consistenza.
La tua attrezzatura? Partendo dalla vestizione, devo ammettere di essere un po’ freddoloso, tanto da indossare d’inverno una giacca da 8,5 o 9 millimetri. Nella mezza stagione scendo a 7 e finalmente a 5 d’estate. Il pantalone invece misura 6,5 millimetri d’inverno, 5,5 nella mezza stagione e finalmente 3,5 nella stagione più calda. Fucili ne ho diversi ma il mio prediletto, quello con cui ho sparato meglio è un doppio elastico in legno, un Saber 100 del maestro Giorgio Dapiran.
La tua preda più grossa? Una cernia di 24 chili a Su Pallosu nel 2016. Era ottobre. Nuotavo in superficie e mi apprestavo a una discesa in planata nella speranza di individuare qualche cernia. All’improvviso ne scorgo una protetta da una tettoia. Come mi avvicino mi vede e s’intana. Non insisto e anzi, per non spaventarla risalgo, anche per decidere come comportarmi e avvisare Luca. Così Porcella s’immerge ma non la trova. Come risale m’inabisso io. La trovo in fondo a uno spacco. Sparo al volo e la fulmino e nello stesso tuffo la porto in superficie.
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