Editoriale 6/24
La Sardegna è divisa in due. Una “questione meridionale” isolana che è nata con l’arrivo del principe ismaelita, il rimpianto Aga Khan Karim, e lo sviluppo della Costa Smeralda. Sì, è iniziata così, col turismo ricco in terra ma anche in mare. Barche e yacht hanno pian piano popolato le acque turchesi della costa nord-orientale e a terra, a Olbia, a Cala Saccaia, è cresciuto un polo nautico, un concentrato di imprese e cantieri destinato a essere forse unico nel Mediterraneo. Da qualche anno Olbia, uno dei pochi centri in continua crescita economica e demografica, vanta addirittura una Fiera nautica di successo a Porto Rotondo e perfino un neonato corso universitario in Ingegneria navale. Tanto lascia intendere che il futuro della nautica lassù al nord, tra Olbia e Porto Torres (anche il nord-ovest è in corsa), sia segnato, felice. Ma veniamo alla questione meridionale, al sud, a Cagliari. L’area metropolitana, conta quasi un terzo della popolazione isolana, eppure, in tutto il Golfo, tra Villasimius e Teulada, ci sono appena una mezza dozzina di porticcioli, con quello di Cagliari diviso in più approdi e marine. È anche vero che il Porto canale, opera n. 1 dell’allora Cassa per il Mezzogiorno e futura area dedicata alla cantieristica, è al rush finale, prossimo alla concessione di spazi e banchine, ma siamo comunque ben lontani dall’offrire un servizio che possa solo scimmiottare il fortunato esempio del nord. Per essere chiari, non ci sono mai stati disegni di gramsciana memoria contro il sud. Probabilmente se Karim si fosse innamorato di Villasimius o del Poetto, tanta ricchezza sarebbe cresciuta quaggiù, ma tanto è! Ci rimane però un modello, sicuramente replicabile, qui, nel meridione.
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