La pesca subacquea va intesa come uno sport individuale, dove il successo di- pende esclusivamente dal-la performance del protagonista. Si tratta certamente di prestazione fisica, ma non solo. Molto, infatti, influisce il fondo, la capacità del suolo di ospitare animali con le branchie, conoscenza questa che ogni subacqueo cerca di mantenere segreta per la paura che altri possano intervenire sugli equilibri biologici. Da qui, nasce una minima diffidenza verso il prossimo, sia esso con le pinne oppure no. A questa conclusione, che più volte ho riscontrato interloquendo con chi spara sott’acqua, si sottrae con naturalezza Massimiliano Barteloni. Personaggio molto conosciuto nell’ambiente e benvoluto: cagliaritano, vigile del fuoco, anni 47, portacolori Mares. Quando hai iniziato con la pescasub? Da giovane, 8-10 anni. Con la famiglia facevamo lunghissimi campeggi al mare, nel Golfo, e io giravo con una fiocina, un arco rudimentale o una canna da pesca molto corta (forse era solo un pezzo) con la lenza e un amo. Per esca usavo patelle, lumachine, paguri e inseguivo i ghiozzetti o altri piccoli pesci che costringevo con tenacia ad abboccare. Tutto sott’acqua e sotto il vigile occhio di mio nonno che seppur intento a pescare murene, brumeggiando tra gli scogli, non mi perdeva mai di vista. Quando è stato il primo salto di qualità? A 16 anni, col mio primo fucile, regalo di uno zio. All’inizio però non mi facevano uscire in mare da solo e quindi le occasioni di usarlo erano ridotte. Mi sono fatto le ossa con verdoni e altri pesciolini. A 18 anni, con la maggior età, il secondo step. Arriva il motorino e quindi la mia totale indipendenza. Allora frequentavo soprattutto la zona del porto canale, era ancora un cantiere, e il secondo braccio mi sembrava cucito addosso, aveva un non so che di selvaggio. Le mie prede preferite o meglio più frequenti erano muggini, spigole ma anche orate e ricciole.
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